IL TRIBUNALE 
 
    Esaminate  le  due  istanze,  riguardante  l'una   il   sequestro
preventivo delle aree ed impianti dello stabilimento ILVA  s.p.a.  di
Taranto e l'altra il sequestro preventivo  del  prodotto  finito  e/o
semilavorato dell'attivita' del  medesimo  stabilimento  siderurgico,
avanzate in data 4 gennaio 2013 dall'Ufficio del  Pubblico  Ministero
in persona del doti. Francesco Sebastio - Procuratore,  dott.  Pietro
Argentino - Procuratore Aggiunto, dott.ssa Giovanna Cannarile,  dott.
Mariano Evangelista Buccoliero  e  dott.  Remo  Epifani  -  Sostituti
Procuratori della Repubblica, tutti in servizio  alla  Procura  della
Repubblica presso questo Tribunale. 
    Ritenuto opportuno, ai fini di un piu' agevole  inquadramento  di
dette  istanze  delle  quali  si  dira'  nel   prosieguo,   ricordare
preliminarmente  i  provvedimenti  giurisdizionali  intervenuti   nel
presente procedimento, come da esposizione che segue  sul)  paragrafi
A) e B). 
A) Il sequestro preventivo delle aree ed impianti dello  stabilimento
siderurgico ILVA s.p.a., ed il giudicato  cautelare  formatosi  sullo
stesso. 
    Con decreto emesso in data 25.07.2012 questo g.i.p. disponeva, ex
articoli 321 comma 1 c.p.p., il sequestro preventivo, senza  facolta'
d'uso, delle seguenti aree ed impianti dello stabilimento siderurgico
ILVA s.p.a. di Taranto: Area Parchi, Area Cokerie, Area  Agglomerato,
Area Altiforni, Area Acciaierie, Area GRF (Gestione Rottami Ferrosi),
nominando quali custodi ed amministratori dei predetti beni, per  gli
aspetti tecnico-operativi, gli ingegneri Barbara Valenzano,  Emanuela
Laterza e Claudio Lofrumento, ed il dottor Mario  Tagarelli  per  gli
aspetti amministrativi. 
    In pari data - 25.07.2012 - veniva emessa  ordinanza  applicativa
di misura cautelare personale nei  confronti  di  Riva  Emilio,  Riva
Nicola, Capogrosso Luigi, Andelmi  Marco,  Cavallo  Angelo,  Dimaggio
Ivan, De Felice Salvatore e D'Alo' Salvatore. 
    Tali provvedimenti venivano adottati in relazione  alle  seguenti
fattispecie di reato ipotizzate dai PP.MM. presso  questo  Tribunale:
art. 434 comma 1 e 2 e.p. - Disastro doloso c.d. innominato aggravato
dalla verificazione del disastro;  art,  437  comma  1  e  2  c.p.  -
Omissione dolosa di cautele contro  infortuni  sul  lavoro  aggravata
dalla verificazione del disastro; art. 439 c.p.  -  Avvelenamento  di
acque o di sostanze alimentari; articoli 81 comma 1 - 674 - 639 comma
2 e 3, e 635 comma 1 e  2  n.  3)  c.p.  -  Danneggiamento  aggravato
continuato   e   Getto   pericoloso   di    cose,    nonche'    reati
contravvenzionali di cui agli articoli 24 e 25 decreto del Presidente
della Repubblica n.  203/88  -  256  e  279  decreto  legislativo  n.
152/2006. 
    Trattasi di reati di pericolo, aggravanti dall'evento, di  natura
permanente o, quanto meno, istantanea ad effetti permanenti. 
    A  fondamento  delle  disposte  misure  cautelari,  tanto  quelle
personali coercitive quanto quella reale, un  composito  e  ponderoso
materiale acquisito nel corso delle indagini, integrato, tra l'altro,
dagli   esiti   delle   due   perizie    -    chimico-ambientale    e
medico-epidemiologica  -  svolte  in  sede  di  incidente  probatorio
richiesto dalla Procura della Repubblica di Taranto. Le risultanze di
detti  accertamenti  peritali  costituiscono,  come  e'  noto,  prove
processuali,  assunte  nelle   forme   (proprie   del   dibattimento)
dell'incidente probatorio e  nel  pieno  rispetto  delle  regole  del
contraddittorio delle parti. 
    Con  ordinanza  del  7/20.08.2012  il  Tribunale  di  Taranto  in
funzione di Tribunale del  riesame  confermava  il  sequestro,  senza
facolta'  d'uso  a  fini  produttivi,  di  dette  aree  ed   impianti
dell'ILVA, parzialmente modificando le - sole - disposizioni relative
ai profili della esecuzione ed amministrazione-custodia dei beni. 
    Con la stessa ordinanza, il Tribunale del riesame riconosceva  la
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza  a  carico  dei  predetti
Riva Emilio, Riva Nicola, Capogrosso Luigi,  Andelmi  Marco,  Cavallo
Angelo, Dimaggio Ivan, De Felice  Salvatore  e  D'Alo'  Salvatore  in
relazione alle fattispecie di reato sopra indicate,  confermando  per
Riva Emilio, Riva Nicola  e  Capogrosso  Luigi  la  misura  cautelare
personale (che veniva, per contro, annullata dal  medesimo  Tribunale
nei riguardi degli altri  indagati,  per  ritenuta  insussistenza  di
esigenze cautelari). 
    Giova evidenziare che: 
        in data 17 gennaio 2013 la Corte di Cassazione ha rigettato i
ricorsi  proposti  nell'interesse  di  Riva  Emilio,  Riva  Nicola  e
Capogrosso Luigi avverso detta ordinanza del  Tribunale  del  riesame
confermativa della misura cautelare personale per i tre indagati; 
        anche la pronuncia del Tribunale del riesame sul sequestro di
aree ed impianti dell'ILVA e' divenuta inoppugnabile, non avendo  gli
interessati  proposto  ricorso  alla  Suprema  Corte   avverso   tale
ordinanza, sulla quale si  e',  dunque,  formato  il  c.d.  giudicato
cautelare. 
    Appare utile, poi, sottolineare che nel confermare la sussistenza
dei presupposti legittimanti il sequestro preventivo (fumus  commissi
delicti e pericolum in mora), funzionale alla tutela  delle  esigenze
preventivo-cautelari indicate dalla legge (art.  321  comma  1  c.p.:
«Quando vi e' pericolo che  la  libera  disponibilita'  di  una  cosa
pertinente al reato possa aggravare o  protrarre  le  conseguenze  di
esso ovvero agevolare la commissione di altri reati ...»), i  Giudici
del riesame  ribadivano  la  sussistenza,  in  danno  del  territorio
tarantino comprensivo  di  centri  abitati  e  zone  rurali,  di  una
situazione di emergenza ambientale e sanitaria di assoluta gravita' e
comprovata  attualita',  imputabile  alle  emissioni   inquinanti   -
convogliate, diffuse e fuggitive - dello stabilimento ILVA s.p.a.  e,
segnatamente, di quegli impianti ed aree del siderurgico sottoposti a
sequestro, affetti da molteplici e  gravi  criticita'  strutturali  e
funzionali. 
    Gli    stessi    Giudici,    quindi,    ribadivano     l'assoluta
indifferibilita' ed urgenza,  a  tutela  della  pubblica  incolumita'
(ossia della salute dei residenti e dei lavoratori del siderurgico) e
dell'ambiente,      del      raggiungimento      delle      finalita'
preventivo-cautelari  del  disposto  sequestro,   consistenti   nella
immediata   interruzione   delle   attivita'   inquinanti   e   nella
eliminazione di tutte le situazioni di pericolo per le persone e  per
l'ambiente  di  cui  sono  fonti  le  aree  e  gli   impianti   dello
stabilimento siderurgico  ILVA  di  Taranto  assoggettati  a  vincolo
reale. Subordinavano esplicitamente la possibilita'  di  una  ripresa
dell'attivita' produttiva dello stabilimento  alla  previa,  completa
realizzazione   di   tutti   gli   interventi   indispensabili    per
l'eliminazione delle accertate e perduranti situazioni di pericolo. 
    Osservavano, tra  l'altro,  i  Giudici  del  riesame,  in  alcuni
passaggi della motivazione dell'ordinanza: 
        «...  Le  risultanze   del   procedimento   evidenziano,   in
definitiva, l'esistenza, nella zona del tarantino, di  una  grave  ed
attualissima  situazione  di  emergenza   ambientale   e   sanitaria,
imputabile alle emissioni inquinanti dello stabilimento  ILVA  S.p.a.
e, segnatamente, di quegli  impianti  ed  aree  del  siderurgico  che
presentano le accertate e persistenti criticita' ambientali di cui si
e' diffusamente detto - Area Parchi, Area Cokerie, Area  Agglomerato,
Area  Altiforni,  Area  Acciaierie  ed  Area  GRF  (Gestione  Rottami
Ferrosi) ...» (pag. 99); 
    «... Dalle risultanze dell'indagine ... emerge come  la  gestione
dello stabilimento  ILVA  di  Taranto  sia  stata  caratterizzata  da
gravissime  criticita'  che  hanno  provocato  e  tuttora   provocano
gravissimi danni all'ambiente e alla salute delle persone ...» (pagg.
76/77); 
    « ... Nel caso  in  esame  non  e'  semplicemente  contestata  la
commissione di un fatto soltanto diretto a cagionare un disastro,  ma
piuttosto la realizzazione di fatti che hanno provocato  un  disastro
ambientale  di  rilevanti  dimensioni,  peraltro  tuttora  in   atto,
rispetto al quale il  numero  delle  persone  offese  non  e'  ancora
precisamente ne' definitivamente quantificabile 
    ... Ebbene, le concrete modalita' di gestione dello  stabilimento
siderurgico dell'ILVA  di  Taranto...  -  che  hanno  determinato  la
continua  e  costante  dispersione  nell'aria  ambiente   di   enormi
quantita' di polveri nocive e di altri inquinanti di accertata  grave
pericolosita' per la salute umana (alla cui  esposizione  costante  e
continuata sono correlati eventi di malattia e di morte osservati con
picchi innegabilmente preoccupanti,  rispetto  al  dato  nazionale  e
regionale, nella popolazione della citta' di Taranto,  specie  tra  i
residenti  nei  quartieri  Tamburi  e   Borgo,   piu'   vicini   allo
stabilimento siderurgico), nonche' la contaminazione  di  terreni  ed
acque e di animali  destinati  all'alimentazione  umana,  in  un'area
vastissima che comprende l'abitato di Taranto e di paesi viciniori ed
un'ampia zona rurale tra i territori di Taranto e Stalle -  integrano
senz'altro l'elemento materiale del reato in esame [art. 434 comma  1
e 2 c.p.], in termini di condotta ed evento di disastro  ...»  (pagg.
79/81); 
    «... Nel caso di specie,  ...  gli  effetti  dannosi  dell'evento
disastro,  oltre  che  accertati  gravissimi  e  numerosi,  risultano
destinati ad aggravarsi negli anni a venire (si pensi al  periodo  di
latenza delle piu'  gravi  malattie  correlate  all'esposizione  agli
inquinanti  del  tipo   di   quelli   diffusi   nell'ambiente   dallo
stabilimento ILVA di Taranto) ...» (pagg. 79/81); 
    «... La  gravita'  e  l'attualita'  dell'emergenza  sanitaria  ed
ambientale   rendono   effettivamente   necessario   un   tempestivo,
intervento  in  ordine  alla  messa  a  norma   dello   stabilimento,
funzionale  alla   neutralizzazione   delle   fonti   inquinanti   e,
conseguentemente, alla  eliminazione  delle  emissioni  illecite.  Va
dunque condiviso pienamente quanto osservato dal G.I.P., nella  parte
motiva  del  provvedimento  di  sequestro   (cfr.   pagg.   293-294),
allorquando  viene  specificato  come  la  situazione  di   grave   e
attualissima emergenza ambientale  e  sanitaria  imponga  l'immediata
adozione del sequestro preventivo - senza facolta' d'uso - delle aree
e degli impianti sopra indicati, funzionale alla  interruzione  delle
attivita' inquinanti, e che «solo la compiuta realizzazione di  tutte
"le  misure  tecniche  necessarie  per  eliminare  le  situazioni  di
pericolo" individuate  dai  periti  chimici  (v.  pagg.  545/554  del
relativo elaborato peritale, nonche' sopra, sub  paragrafo  5.5),  in
uno alla attuazione di un sistema di monitoraggio in  continuo  delle
emissioni maggiormente inquinanti (quali quelle contenenti diossine e
PCB), potrebbe  legittimare  l'autorizzazione  -  previa  attenta  ed
approfondita valutazione, da parte  di  tecnici  nominati  dall'A.G.,
dell'efficacia, sotto il profilo della prevenzione ambientale,  delle
misure eventualmente adottate - ad una ripresa della operativita' dei
predetti impianti" ...» (pag. 117); 
    «L'esigenza cautelare  perseguita  col  sequestro  preventivo  e'
quella  di  impedire  la   prosecuzione   del   reato   ...   Risulta
assolutamente evidente, nel caso di specie, come  sussista  l'urgenza
di intervenire con il provvedimento di  sequestro  atteso  che,  allo
stato, come bene e' stato evidenziato dai periti chimici, dai  periti
medici, dagli accertamenti dell'ARPA, dagli accertamenti del NOE,  le
emissioni di sostanze  nocive  alla  salute  della  popolazione  sono
chiaramente  in  corso  e  l'adeguamento   degli   impianti,   ovvero
l'eliminazione delle non corrette pratiche di gestione delle  polveri
degli  elettrofiltri  e  di  tutte  le  disfunzioni   ...   segnalate
comportanti emissioni incontrollate  e  diffuse  a  quote  basse  non
appare piu' eludibile...»; 
    «...Va  quindi  sottratta  al  Gestore  la  disponibilita'  delle
predette aree e degli impianti ivi esistenti, allo scopo di eliminare
tutte le disfunzioni sopra segnalate  che  determinano  le  emissioni
diffuse e fuggitive di cui si e' detto. 
    Attraverso il sequestro, infatti, occorre impedire  che  i  reati
sopra descritti siano portati ad ulteriori  conseguenze  atteso  che,
come dimostrato,  e'  in  corso  una  massiva  attivita'  missiva  di
sostanze  nocive  alla  salute  umana  ed   animale   ed   Idonea   a
compromettere la qualita'  dell'ambiente  circostante  (aria,  acqua,
terreni, vegetali) derivante dal ciclo di lavorazione del siderurgico
di Taranto; in  particolare,  dagli  impianti  delle  seguenti  aree:
Parchi, Cokerie, Agglomerato, Altoforno,  Acciaieria,  Area  GRF  ...
Pertanto, allo stato, ... l'unico modo per  evitare  gli  effetti  di
pericolo e danno gia' accertati e' quello di impedire la tipologia di
emissioni convogliate e soprattutto diffuse-fuggitive incontrollate e
intollerabili  per  la  salute  umana,  vegetale  ed  animale.   Tale
risultato, nell'immediato puo' essere raggiunto esclusivamente con il
sequestro preventivo delle predette aree...» (pagg. 114/117); 
    « ... Ritiene dunque il Tribunale che le modalita' esecutive  del
sequestro, in concreto, non  possano  che  essere  individuate  dagli
stessi custodi - amministratori, sulla base delle migliori tecnologie
disponibili, ed attuate sotto la supervisione  del  P.M.  procedente,
quale organo dell'esecuzione, all'esclusivo fine  della  eliminazione
della situazione di pericolo; cio' in vista  del  raggiungimento  del
precipuo   obiettivo,   normativamente   previsto,   del    sequestro
preventivo, ovvero quello di evitare che la libera disponibilita' del
bene  sottoposto  a  sequestro  possa  aggravare   e   protrarre   le
conseguenze dei reati il cui fumus nel caso concreto venga  ravvisato
...... Nel caso di specie, dunque, l'obiettivo da perseguire  e'  uno
ed  uno  solo,  ovverosia  il  raggiungimento,  il  piu'   celermente
possibile,  del  risanamento  ambientale   e   l'interruzione   delle
attivita' inquinanti ... » (pag. 118); 
    «...  Deve,  in  definitiva,  confermarsi  il  sequestro,   senza
facolta' d'uso, delle  aree  e  degli  impianti  sopra  indicati;  il
provvedimento del G.I.P. va invece modificato quanto alla nomina  dei
custodi ... nonche' nella parte in cui prevede che  i  custodi  ingg.
Valenzano,  Laterza  e  Lofrumento  "avvieranno   immediatamente   le
procedure tecniche e di sicurezza  per  il  blocco  delle  specifiche
lavorazioni e lo spegnimento degli impianti", nei  termini  Seguenti:
"Dispone che i custodi garantiscano la sicurezza degli impianti e  li
utilizzino  in  funzione  della  realizzazione  di  tutte  le  misure
tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo  e  della
attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle  emissioni
inquinanti" (pag. 122). 
    Si rappresenta, infine, che con ordinanze rese in data 26.09.2012
e  30.11.2012,  questo   g.i.p.   rigettava,   su   conforme   parere
dell'Ufficio del P.M., due istanze proposte  dall'attuale  Presidente
del Consiglio di Amministrazione  e  legale  rappresentante  di  ILVA
s.p.a.,  Ferrante  Bruno,  intese   ad   ottenere,   rispettivamente,
l'autorizzazione allo  svolgimento  dell'attivita'  produttiva  e  la
revoca del sequestro preventivo degli impianti. 
    L'interessato proponeva appello ex art. 322-bis  c.p.p.,  davanti
al Tribunale di Taranto, avverso la prima di dette ordinanze, per poi
rinunciare all'impugnazione. 
    Avverso la seconda ordinanza, infine, non  risulta  essere  stata
proposta alcuna impugnazione. 
B) Il sequestro  preventivo  del  prodotto  finito  e/o  semilavorato
dell'attivita' del siderurgico ILVA s.p.a. di Taranto. 
    Con decreto emesso in data 22.11.2012, questo g.i.p. ordinava  il
sequestro  preventivo   «del   prodotto   finito   e/o   semilavorato
dell'attivita' del siderurgico ILVA s.p.a. di Taranto  derivante  dai
processi produttivi dell'area a caldo esistente nelle  relative  aree
di stoccaggio e destinato alla vendita  ovvero  al  trasferimento  in
altri  stabilimenti  del  gruppo»,  disponendone   l'affidamento   ai
custodi-amministratori  gia'  nominati   nell'ambito   del   medesimo
procedimento. 
    Il provvedimento  veniva  adottato  in  relazione  alle  seguenti
fattispecie di reato ipotizzate dai PP.MM. presso  questo  Tribunale:
art. 416 comma 1 e 2 c.p. - Associazione  per  delinquere;  art.  434
comma 1 e 2 c.p. - Disastro doloso c.d.  innominato  aggravato  dalla
verificazione del disastro; art. 437 comma 1 e  2  c.p.  -  Omissione
dolosa  di  cautele  contro  infortuni  sul  lavoro  aggravata  dalla
verificazione del disastro; art. 439 c.p. - Avvelenamento di acque  o
di sostanze alimentari; articoli 81 comma 1 - 674 - 639 comma 2 e  3,
e 635 comma 1 e 2 n. 3) c.p. - Danneggiamento aggravato continuato  e
Getto pericoloso di cose, nonche' reati contravvenzionali di cui agli
articoli 24 e 25 decreto del Presidente della Repubblica n. 203/88  -
256 e 279 decreto legislativo n. 152/2006. Trattasi, anche in  questo
caso,  di  reati  di  pericolo,  aggravanti  dall'evento,  di  natura
permanente o, quanto meno, istantanea ad effetti permanenti. 
    Per tali reati (fatta eccezione per quello di  cui  all'art.  416
c.p.) risultano indagati, tra  gli  altri,  Ferrante  Bruno  e  Buffo
Adolfo,  rispettivamente  attuale   Presidente   del   Consiglio   di
Amministrazione e legale rappresentante di  ILVA  s.p.a.,  e  attuale
direttore del medesimo stabilimento. 
    In  pari  data,  22.11.2012,  veniva   emessa   altra   ordinanza
applicativa di misura cautelare  personale,  nei  confronti  di  Riva
Emilio, Riva Arturo Fabio (a tutt'oggi latitante), Capogrosso  Luigi,
Archina' Girolamo e Liberti Lorenzo, per i  delitti  appena  indicati
(come rispettivamente contestati nella richiamata ordinanza)  nonche'
per corruzione in atti giudiziari e falsita' ideologica  commessa  da
pubblico ufficiale in atti pubblici (reati contestati  agli  indagati
Liberti, Archina',  Riva  Emilio,  Riva  Arturo  Fabio  e  Capogrosso
Luigi). 
    Misura coercitiva che il Tribunale  di  Taranto  in  funzione  di
Tribunale del riesame ha recentemente  confermato  per  Riva  Emilio,
Archina' e Liberti,  e  sostituito  con  altra  meno  afflittiva  per
Capogrosso, riconoscendo, comunque, la sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza a carico dei predetti indagati, in relazione a tutte  le
fattispecie delittuose loro ascritte. 
    Tornando al decreto di sequestro preventivo  del  22.11.2012,  va
sottolineato che esso veniva disposto sia ai sensi degli articoli 321
comma 2 c.p.p. e 240 comma l c.p., avendo  ad  oggetto  il  prodotto,
suscettibile di confisca, dei  reati  ipotizzati  dai  PP.MM.  e  che
l'ILVA  aveva  continuato  a  perpetrare   proseguendo   imperterrita
nell'attivita'  incriminata  facendo  uso  a  fini  produttivi  degli
impianti sottoposti a sequestro, in palese violazione  dell'esplicito
divieto dei provvedimenti giudiziari,  sia  ai  sensi  dell'art.  321
comma 1 c.p.p., per le finalita' preventivo-cautelari in  tale  norma
indicate. 
C) Le istanze avanzate dai PP.MM. presso  questo  Tribunale  in  data
4.01.2013. 
    Rilevato, con riferimento all'istanza avanzata  in  relazione  al
sequestro di cui al precedente paragrafo A), che: 
    trattasi di istanza con la quale i  PP.MM.  chiedono  al  G.i.p.,
sulla base della normativa del decreto-legge 3 dicembre 2012 n.  207,
cosi' come convertito  nella  legge  24  dicembre  2012  n.  231,  la
modifica, con  concessione  della  facolta'  d'uso,  del  decreto  di
sequestro preventivo delle aree ed impianti dello  stabilimento  ILVA
s.p.a. di cui la stessa societa' e' gia' venuta  in  possesso,  e  la
revoca dei custodi-amministratori gia'  nominati  da  questo  g.i.p.,
ovvero di sollevare la questione di legittimita' costituzionale degli
articoli 1  e  3  del  citato  decreto-legge  n.  207/12  cosi'  come
convertito nella legge 24 dicembre 2012 n. 231, «perche' in contrasto
con gli articoli 3, 9, 24, 25, 27, 32, 101, 102, 103, 104, 117  della
Costituzione», nei punti e per le ragioni diffusamente indicate nella
richiesta avanzata dai medesimi PP.MM. 
    In    particolare,    preliminarmente    alle    eccezioni     di
incostituzionalita' dagli stessi sollevate, i PP.MM. osservano  nella
loro richiesta, dopo avere ricordato sinteticamente  le  disposizioni
adottate dal G.i.p.  con  il  decreto  di  sequestro  degli  impianti
dell'area a caldo dello stabilimento ILVA s.p.a. di Taranto emesso il
25 luglio 2012 e dal Tribunale del riesame  con  ordinanza  del  7/20
agosto 2012, sulla quale si e' formato il c.d. giudicato cautelare. 
    ... Sulla base  (dello)  inequivoco  dettato  del  Tribunale  del
riesame  il  P.M.  impartiva  precise  direttive   ai   custodi   con
provvedimento  dell'1.09.2012  che,  peraltro,   ribadiva   altro   e
precedente provvedimento. In esso i custodi erano invitati: «n. .. 1)
a procedere immediatamente alla adozione delle misure necessarie alla
pronta eliminazione delle emissioni  nocive  ancora  in  atto;  2)  a
procedere  alla   individuazione   delle   misure   necessarie   agli
adeguamenti  tecnico-ambientali  idonei  a  consentire   la   ripresa
dell'operativita' degli impianti in totale sicurezza per i lavoratori
e la  popolazione  esposti  alle  criticita'  sanitarie  riscontrate,
nonche'  ad  attuare  tutte  le   ulteriori   misure   indicate   nel
provvedimento  del  Tribunale  del  riesame   del   7/20.08.2012   da
intendersi qui integralmente richiamate; 3) a procedere  ad  elencare
analiticamente tutti gli interventi necessari di cui al punto 2)  con
specificazione dei relativi costi e tempi di esecuzione ...». 
    Altro provvedimento di analogo contenuto era impartito ai custodi
il 5.10.2012 ove era anche disposto un termine di giorni 5  entro  il
quale  l'ILVA,  a  mezzo  del  custode-amministratore   dott.   Bruno
Ferrante, doveva adibire le maestranze occorrenti  destinandole  alle
operazioni tecniche necessarie  a  far  cessare  ulteriori  emissioni
inquinanti derivanti degli impianti, reparti ed aree sotto sequestro. 
    Tutto cio' premesso, occorre precisare che  i  due  provvedimenti
sopra indicati erano emessi sia tenendo conto di quanto  statuito  da
Tribunale del riesame che escludeva qualsiasi facolta' d'uso e quindi
di produzione finalizzata alla commercializzazione dell'acciaio,  sia
delle relazioni dei custodi che  indicavano  in  maniera  dettagliata
tutti gli  interventi  immediati  da  effettuare  sugli  impianti  in
sequestro per bloccare le emissioni nocive. 
    Non solo, piu' recentemente, il Tribunale di Taranto,  a  seguito
di richiesta del P.M. che  aveva  inoltrato  ricorso  per  cassazione
avverso  altro  provvedimento  del  Tribunale  adito  quale   giudice
dell'esecuzione   dalle   difese,   nel   sospendere   tale    ultimo
provvedimento nella parte in cui reintroduceva la figura di  Ferrante
quale custode e confermando quanto statuito dal riesame del 7.08.2012
in chiave di  esclusione  dell'attivita'  produttiva,  chiariva  come
l'allora custode amministratore dott. Ferrante «... ha  palesato,  in
maniera  davvero  particolarmente  chiara,  la  propria  volonta'   o
quantomeno l'interesse alla  prosecuzione  dell'attivita'  produttiva
che, evidentemente, darebbe luogo ad una protrazione  o  aggravamento
delle conseguenze dannose del reato, giunte  invero  gia'  a  livelli
allarmanti ...». Ed ancora: «A conferma di  quanto  detto  depone  il
tenore dell'atto di appello proposto da ILVA spa avverso  il  decreto
adottato  dal  GIP  in  data   10.08.2012:   a   pag   13   dell'atto
d'impugnazione si insisteva nella caducazione  del  provvedimento  in
quanto  quest'ultimo  veniva  ritenuto  ostativo  alla   prosecuzione
dell'attivita' produttiva che,  ad  avviso  (erroneo)  della  Difesa,
sarebbe stata garantita dalla facolta' d'uso  concessa  da  Tribunale
del riesame con la decisione del 7.08.2012 (invero la facolta'  d'uso
veniva expressis verbis  esclusa  alla  pag.  122  delle  motivazioni
dell'ordinanza relativa alla statuizione del 7.08.2012.)». Concludeva
poi chiarendo che «la perdurante presenza del Ferrante nel  ruolo  di
amministratore e custode giudiziario pregiudica la serena e  compiuta
esecuzione del  decreto  di  sequestro  preventivo  ed  introduce  il
rischio,   serio   e   concreto,   della    possibile    prosecuzione
dell'attivita' produttiva ...». 
    Nessun  dubbio  quindi  sulla   esclusione   per   l'ILVA   della
possibilita' di produrre  essendo  la  stessa  intimamente  legata  a
doppio filo con  l'attivita'  inquinante  dannosa  per  la  salute  e
l'ambiente, atteso che e' proprio da essa che derivano  le  emissioni
nocive che il sequestro ha inteso bloccare immediatamente. 
    Nessun   dubbio,   pertanto,   che   l'attivita'   demandata   ai
custodi-amministratori era ed e' inequivocabilmente quella diretta al
blocco delle emissioni nocive quale fine  principale  ed  ineludibile
del sequestro in atto. 
    Nessun dubbio che la produzione del siderurgico e'  da  ritenersi
subordinata   alla   preventiva   eliminazione    delle    criticita'
impiantistiche che determinano le devastanti emissioni nocive per  la
salute    e    l'ambiente,     emissioni     che     l'azione     dei
custodi-amministratori  era  diretta   ad   eliminare   grazie   alla
esecuzione degli interventi che gli stessi avevano ritenuto necessari
allo scopo. 
    Del resto se il sequestro preventivo disposto, ai sensi dell'art.
321 c.p.p., aveva ed ha lo  scopo  di  evitare  che  «...  la  libera
disponibilita' di una cosa pertinente  al  reato  possa  aggravare  o
protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la  commissione  di
altri reati ...», appare chiaro come i  profili  esecutivi  di  esso,
demandati  necessariamente   ed   esclusivamente   ai   custodi   dai
provvedimenti di cui sopra, non potevano che essere legati al  blocco
delle emissioni nocive, il solo idoneo a realizzare le finalita'  del
suddetto sequestro ex art. 321 c.p.p. 
    Come chiarito in diverse relazioni dei  custodi-amministratori...
numerosi sono gli interventi da realizzare sugli  impianti  necessari
al blocco delle emissioni nocive, interventi che riguardano tutte  le
aree sottoposte a sequestro (parchi, cokerie, altoforni,  acciaierie,
GRF).  Interventi,  peraltro,  assolutamente  incompatibili  con   la
continuita' della  produzione  prevedendo  essi  lo  spegnimento  e/o
blocco di numerose parti dello stabilimento (batterie,  altoforno  5,
acciaieria 1, ecc.). 
    In   tal   senso   era   orientata    tutta    l'attivita'    dei
custodi-amministratori che in esecuzione  delle  direttive  del  P.M.
avevano compiuto una serie di  sopralluoghi  e  attivita'  di  studio
degli impianti al fine di eseguire il blocco delle parti di essi  che
causavano in modo  diffuso  e  incontrollato  emissioni  di  sostanze
nocive alla salute e all'ambiente. 
    Su tale stato di fatto interveniva il decreto-legge  n.  207/2012
poi convertito con modificazioni nella legge n. 231/12. 
    Le disposizioni normative di cui sopra stabiliscono  all'art.  1,
intitolato «Efficacia dell'autorizzazione  integrata  ambientale  in.
caso di crisi di stabilimenti  industriali  di  interesse  strategico
nazionale», che: 
        1. In caso di stabilimento di interesse strategico nazionale,
individuato con decreto del Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
quando  presso  di  esso  sono  occupati  un  numero  di   lavoratori
subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento  di  integrazione
dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno, qualora  vi
sia una assoluta necessita' di salvaguardia dell'occupazione e  della
produzione, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e
del mare puo' autorizzare, in  sede  di  riesame  dell'autorizzazione
integrata ambientale, la prosecuzione dell'attivita'  produttiva  per
un periodo di  tempo  determinato  non  superiore  a  36  mesi  ed  a
condizione  che  vengano  adempiute  le  prescrizioni  contenute  nel
provvedimento di riesame della medesima  autorizzazione,  secondo  le
procedure ed i termini ivi indicati, al fine di  assicurare  la  piu'
adeguata tutela dell'ambiente e  della  salute  secondo  le  migliori
tecniche disponibili. 
        2. Nei casi di cui al comma 1, le misure volte ad  assicurare
la prosecuzione dell'attivita' produttiva sono  esclusivamente  e  ad
ogni effetto quelle contenute  nel  provvedimento  di  autorizzazione
integrata  ambientale,  nonche'   le   prescrizioni   contenute   nel
provvedimento di riesame. .... 
        3. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 29-decies  e
29-quattuordecies del decreto legislativo n. 152  del  2006  e  dalle
altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative
contenute nelle normative di settore,  la  mancata  osservanza  delle
prescrizioni contenute nel provvedimento di cui al comma 1 e'  punita
con sanzione amministrativa pecuniaria  fino  al  10  per  cento  del
fatturato della societa' risultante  dall'ultimo  bilancio  approvato
... 
        4. Le disposizioni di cui al  comma  1  trovano  applicazione
anche quando l'autorita' giudiziaria abbia adottato provvedimenti  di
sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento. In  tale
caso i provvedimenti di sequestro  non  impediscono,  nel  corso  del
periodo   di   tempo   indicato   nell'autorizzazione,    l'esercizio
dell'attivita' d'impresa a norma del comma 1 ... 
    All'art. 3, intitolato «Efficacia  dell'autorizzazione  integrata
ambientale rilasciata in data 26 ottobre 2012 alla societa' ILVA spa.
Controlli e garanzie», si statuisce che: 
        1. L'impianto siderurgico della societa' ILVA spa di  Taranto
costituisce stabilimento di interesse strategico  nazionale  a  norma
dell'art. 1. 
        1-bis (...). 
        2. L'autorizzazione integrata ambientale rilasciata  in  data
26 ottobre 2012 alla societa' ILVA spa..., contiene  le  prescrizioni
volte ad assicurare la prosecuzione dell'attivita'  produttiva  dello
stabilimento siderurgico della societa' ILVA spa di Taranto  a  norma
dell'art. 1. 
        3. A decorrere dalla data di entrata in vigore  del  presente
decreto, la societa' ILVA spa di Taranto e' immessa nel possesso  dei
beni  dell'impresa  ed  e'  in  ogni  caso  autorizzata,  nei  limiti
consentiti dal provvedimento di cui al  comma  2,  alla  prosecuzione
dell'attivita'    produttiva    nello     stabilimento     e     alla
commercializzazione dei  prodotti,  ivi  compresi  quelli  realizzati
antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto,
ferma restando l'applicazione di tutte le disposizioni contenute  nel
medesimo decreto. 
    In sostanza, le disposizioni sopra indicate non lasciano adito  a
dubbi:  l'ILVA  di  Taranto,  nonostante   la   sussistenza   di   un
provvedimento di sequestro in atto  dei  suoi  Impianti  dell'area  a
caldo che impediva l'attivita'  produttiva  in  quanto  dannosa  alla
salute e all'ambiente, «per un periodo di trentasei mesi  ...  e'  in
ogni  caso  autorizzata,  ....   alla   prosecuzione   dell'attivita'
produttiva nello stabilimento ed alla conseguente commercializzazione
dei prodotti ivi compresi  quelli  realizzati  antecedentemente  alla
data di entrata in vigore del presente decreto ...». 
    Appare allora  chiarissimo  come  l'attivita'  dei  custodi,  che
invece era diretta al blocco dell'operativita'  della  maggior  parte
degli impianti delle area a caldo (batterie delle cokerie, altiforni,
acciaierie, GRF) in quanto necessario per eliminare,  nell'immediato,
le emissioni nocive, e funzionale al  risanamento  di  essi  per  una
futura ripresa della produttivita' aziendale in totale sicurezza,  si
ponga in netto contrasto con quanto statuito dal decreto di cui sopra
che autorizza invece la piena produttivita' degli impianti  imponendo
un'opera   di   risanamento   diluita   nel    tempo    assolutamente
pregiudizievole per la salute e l'ambiente. 
    Non solo, in realta'  data  la  previsione  di  cui  al  comma  2
dell'art. 1 del suddetto  decreto,  ove  e'  inserita  una  sorta  di
clausola di esclusivita' stabilendosi che «...  le  misure  volte  ad
assicurare   la   prosecuzione   dell'attivita'    produttiva    sono
esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute  nel  provvedimento
di  autorizzazione  integrata  ambientale,  nonche'  le  prescrizioni
contenute nel provvedimento di riesame ...»,  appare  chiaro  come  i
custodi,  nonostante  siano  presenti  sugli  impianti,  non  abbiano
nemmeno la possibilita' di  evidenziare  delle  ulteriori  criticita'
degli impianti stessi idonee  a  determinarne  cattivo  funzionamento
diverse  da  quelle  previste  dal  provvedimento  di  autorizzazione
integrata ambientale e causanti  emissioni  diffuse  e  incontrollate
nocive alla salute. 
    In sostanza,  l'attivita'  dei  custodi-amministratori  volta  ad
eliminare le emissioni nocive e ad utilizzare gli  impianti  ai  fini
del risanamento con l'individuazione delle misure  da  loro  ritenute
necessarie allo scopo, si pone in chiara violazione  del  decreto  di
cui  sopra  che  invece  da  un  lato  consente  la  piena  attivita'
produttiva  nonostante  essa  sia   foriera   di   emissioni   nocive
incontrollate,   dall'altro   esclude   ed   addirittura   vieta   ai
custodi-amministratori (e non solo a loro) di  individuare  ulteriori
criticita' idonee ad imporre misure aggiuntive e diverse  rispetto  a
quelle previste nell'AIA e nel successivo  provvedimento  di  riesame
AIA. 
    Non  vi  sono  dubbi  allora  come  la  normativa  contenuta  nel
decreto-legge sia di assoluto divieto per i  custodi  di  eseguire  i
compiti loro assegnati in funzione di realizzazione  delle  finalita'
del sequestro preventivo in atto. 
    Si impone, quindi, doverosamente,  anche  in  considerazione  dei
costi    esistenti    relativi    agli    onorari     dei     quattro
custodi-amministratori,  la  revoca  dell'incarico  loro   conferito,
incompatibile con l'osservanza delle disposizioni di cui  al  decreto
sopra indicato. Invero solo la non applicazione delle disposizioni di
cui alla normativa d'urgenza cosi' come  convertita  giustificherebbe
la permanenza dell'incarico e delta funzione dei custodi. 
    Peraltro, la statuita immissione in possesso  degli  impianti  in
sequestro a favore dell'ILVA e l'autorizzazione  alla  produzione  ed
alla  commercializzazione  dei  suoi  prodotti   ha,   in   sostanza,
introdotto una sorta  di  facolta'  d'uso  ex  lege  che  impone  una
ratifica giurisdizionale atteso che  il  provvedimento  di  sequestro
formalmente e' ancora in vita. 
    Si impone quindi anche la concessione della facolta' d'uso  degli
impianti in sequestro quale modifica sostanziale del provvedimento di
sequestro in atto. 
    Il giudice non ha scelta, o applica l'atto avente forza di legge,
ovvero, dubitando della sua legittimita'  costituzionale  solleva  la
questione  di  costituzionalita',  sospendendo   ogni   decisione   e
rimettendo gli atti alla Consulta. 
    Nel caso che ci  occupa,  invero,  sussistono  seri  dubbi  sulla
legittimita' costituzionale delle disposizioni del  decreto-legge  n.
207/12 cosi come convertito nella legge n.  231/12  e  quindi  appare
doveroso chiedere al giudice, investito della presente richiesta,  di
sollevare la questione di costituzionalita' dinanzi alla Consulta ...
[per   le   ragioni,   rappresentate   dai   PP.MM,   che    verranno
successivamente esposte]. 
    Rilevato, poi, con riferimento all'istanza avanzata  dai  PP.MM.,
in relazione al sequestro di cui al precedente paragrafo B), che: 
        in data 4.01.2013 Ferrante Bruno, in qualita'  di  Presidente
del C.d.A. di ILVA s.p.a., ha avanzato alla Procura della  Repubblica
presso questo Tribunale  di  Taranto  richiesta  di  «dare  immediata
esecuzione  al  disposto  di  cui  all'art.   3   comma   terzo   del
decreto-legge  n.  207  del  3.12.2012,  come  convertito  in   legge
approvata in data 20.12.2012 e pubblicata in G.U. in data  3.01.2013,
anche disponendo la  rimozione  dei  sigilli  dei  beni  oggetto  del
provvedimento "decreto di sequestro preventivo" del G.i.p. di Taranto
in data 22.11.2012 e comunque di ogni altra  attivita'  necessaria  a
tal fine»; 
        in pari data i PP.MM., esprimendo ex art. 321 comma 3  c.p.p.
parere contrario all'accoglimento di tale  istanza  dell'ILVA,  hanno
trasmesso  la  stessa  per   competenza   all'Ufficio   del   G.i.p.,
chiedendogli   «di   sollevare   la   questione    di    legittimita'
costituzionale delle norme contenute nel  decreto-legge  n.  207/2012
cosi' come convertito  nella  legge  24  dicembre  2012  n.  231.  In
particolare, degli articoli 1 e 3 del  suddetto  decreto-legge  cosi'
come convertito con modificazioni nella legge n.  231/12  perche'  in
contrasto con gli articoli 3, 9, 24, 25, 27, 32, 101, 102, 103,  104,
117 della Costituzione ...». 
    Si riportano anche in questo caso, di  seguito,  le  osservazioni
svolte  dai  PP.MM.  nella  loro  richiesta,   preliminarmente   alle
eccezioni di incostituzionalita' dagli stessi sollevate. 
    Con l'istanza di  cui  sopra  ILVA  spa  chiede  che  venga  data
esecuzione  al  disposto  di  cui  all'art.  3,  comma   terzo,   del
decreto-legge n. 207/12, cosi' come convertito nella legge n. 231/12,
e cio' disponendo anche la rimozione dei sigilli dei beni oggetto dei
provvedimento di sequestro preventivo del  GIP  di  Taranto  in  data
22.11.2012. 
    In sostanza la richiesta dell'ILVA spa, statuendo la legge che la
stessa impresa e' immessa nel possesso dei suoi beni ed e',  in  ogni
caso,  autorizzata  alla  prosecuzione   dell'attivita'   produttiva,
nonche' alla commercializzazione dei prodotti,  ivi  compresi  quelli
realizzati antecedentemente  alla  data  di  entrata  in  vigore  del
decreto, e' di un vero e proprio dissequestro del prodotto  finito  e
semilavorato vincolato con provvedimento del GIP del 22.11.2012. 
    Appare chiaro come raccoglimento dell'istanza in argomento  debba
tenero conto di quanto statuito dai disposto di cui all'art. 1, comma
4, ove si stabilisce che «Le disposizioni di cui al comma  9  trovano
applicazione anche  quando  l'autorita'  giudiziaria  abbia  adottato
provvedimenti di  sequestro  sui  beni  dell'impresa  titolare  dello
stabilimento.  In  tale  caso  i  provvedimenti  di   sequestro   non
impediscono,   nel   corso   del   periodo    di    tempo    indicato
nell'autorizzazione, l'esercizio dell'attivita' d'impresa a norma del
comma 1.». 
    Invero,  la   commercializzazione   del   prodotto   finito   e/o
semilavorato determinerebbe la definitiva perdita del bene attraverso
la sua alienazione a terzi ovvero il trasferimento ad altre  societa'
per le successive lavorazioni. 
    In sostanza, il provvedimento  di  sequestro  sarebbe  del  tutto
vanificato, sussistendo la chiara  incompatibilita'  tra  il  vincolo
reale e la commercializzazione dei beni sottoposti a tale vincolo. 
    Del resto appare evidente come il prodotto di cui discutiamo  sia
il risultato di un'attivita' produttiva  gia'  descritta  da  diversi
provvedimenti giurisdizionali come criminosa ed, allo  stato,  ancora
sottoposta alle norme penali ivi contestate. 
    Sotto tale profilo l'applicazione della normativa  di  cui  sopra
appare chiaramente di dubbia costituzionalita', atteso  che  consente
da  un  lato  un'attivita'  produttiva  illecita  e   dall'altro   la
commercializzazione del frutto di tale attivita', peraltro, anche con
efficacia retroattiva. 
    Alla luce di quanto  sopra  chiarito  appare  doveroso  esprimere
parere contrario all'accoglimento dell'istanza presentata, rimettendo
la questione all'attenzione  dei  G.i.p.  chiedendo  allo  stesso  di
sollevare  le  questioni  di   costituzionalita'   in   ordine   alle
disposizioni della normativa del decreto-legge n. 207/12,  cosi  come
convertito nella legge n. 231112 [per le ragioni,  rappresentate  dai
PP.MM, che verranno successivamente esposte]  in  considerazione  del
fatto che la questione di legittimita' costituzionale qui proposta e'
l'unico strumento concesso dall'ordinamento per evitare di  applicare
norme di dubbia  costituzionalita'  (cfr.  Gustavo  Zagrebelski,  «La
Giustizia Costituzionale - Cap. 3° 1 sistemi di  instaurazione  e  le
modalita' di svolgimento dei  giudizi  di  incostituzionalita'  sulle
leggi» - stralcio allegato) ... 
D) Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate  dai  PP.MM.
Gli ulteriori profili e le questioni di  legittimita'  costituzionale
rilevati d'ufficio. 
    Di seguito si riportano i motivi e le argomentazioni che i PP.MM.
hanno  posto   a   fondamento   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli articoli 1 e 3 della legge 24 dicembre  2012  n.
231  (entrata  in  vigore  il  4.01.2013  e  pubblicata  su  Gazzetta
Ufficiale n. 2 del 3.01.2013), di conversione, con modificazione, del
decreto-legge 3 dicembre 2012 n. 207, «recante disposizioni urgenti a
tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di  occupazione,  in
caso di crisi di stabilimenti  industriali  di  interesse  strategico
nazionale», sollevate, in entrambe  le  istanze  sopra  indicate,  in
relazione agli articoli 3, 9, 24, 25, 27, 32, 101, 102,  103,  104  e
117 della Costituzione. 
    ... Con  la  disciplina  sopra  indicata  legislatore  ha  inteso
statuire  il  principio  secondo  cui  determinate   imprese   aventi
particolari  dimensioni,  se  individuate  quali  siti  di  interesse
strategico nazionale, possono continuare la loro attivita' produttiva
e commerciale  anche  in  presenza  di  provvedimenti  dell'autorita'
giudiziaria che intendono invece bloccare tale  attivita'  in  quanto
foriera di reati. 
    La peculiarita' della disciplina introdotta che ne  determina  la
chiara incostituzionalita', sotto diversi profili, e' dovuta al fatto
che con essa legislatore  non  ha  inteso  eliminare  quelle  ipotesi
criminose,   esistenti   nell'ordinamento,    legate    all'attivita'
produttiva dell'impresa interessata, ma ha semplicemente disposto che
l'impresa stessa, a mezzo dei suoi amministratori, puo' continuare  a
compiere dei fatti  che  l'ordinamento  prevede  ancora  come  reati.
Addirittura anche quando sono in atto  provvedimenti  giurisdizionali
che hanno inteso bloccare la commissione di tali  reati,  vanificando
di fatto l'efficacia di tali provvedimenti. 
    Innanzitutto, risulta chiarissima la violazione dell'art. 3 della
Costituzione. 
    Invero,  alla  luce  di  quanto  sopra  chiarito,  e'   possibile
affermare che, nell'ambito del limite temporale dei 36 mesi  previsti
dal decreto, identici fatti (di reato) se commessi da alcune  imprese
(quelle previste nel decreto) non sono soggetti alla sanzione penale,
se commessi da altre imprese (non indicate nel decreto)  sono  invece
soggetti alla sanzione penale. 
    Questo P.M. (Procura di Taranto) sa bene che il legislatore  puo'
sottoporre a discipline diverse situazioni diverse, come peraltro  si
desume dallo stesso art. 3 qui invocato, ma nel caso di specie e'  lo
stesso legislatore che irragionevolmente dispone che a  fronte  delle
stesse situazioni fattuali viene applicata  una  disciplina  diversa,
con l'aggravante che tale diversita' di disciplina non viene  nemmeno
stabilita  a  priori,  ma  solo  a  seguito   di   un   provvedimento
discrezionale  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  idoneo
all'occorrenza ad intervenire su quello giurisdizionale privandolo di
ogni effetto. 
    Qui non si stabiliscono dei parametri tecnici che  un'impresa  di
determinate caratteristiche  deve  rispettare  e  un'altra  di  altre
caratteristiche non deve rispettare  (es.  limiti  di  emissioni,  di
produzione, ecc.); si stabilisce semplicemente che alcune imprese non
sono soggette, per un periodo  determinato,  alle  norme  penali,  di
procedura penale, a quelle di settore e a tutte quelle che  prevedono
interventi tesi a bloccare l'attivita' produttiva dannosa,  ovvero  a
risarcire  i  danni  causati  da  tale  attivita'  nel   periodo   di
«moratoria». 
    Si ha una «sospensione»  ingiustificata  dell'operativita'  della
legge solo per alcune imprese e non per altre. Tutto cio' sulla  base
di criteri eccessivamente generici. 
    Invero, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  che
dovrebbe  individuare  «lo  stabilimento  di   interesse   strategico
nazionale» appare caratterizzato da una eccessiva astrattezza ove  si
ponga mente alla circostanza che tale provvedimento e' il presupposto
per stabilire se un'impresa ed i suoi amministratori  debbano  essere
sottratti ai provvedimenti giurisdizionali penali e non. 
    Non risulta chiaro cosa il legislatore abbia voluto indicare  con
la definizione di stabilimento  di  interesse  strategico  nazionale.
Quali sono  i  parametri?  Quali  le  caratteristiche?  Tutto  sembra
rimesso   alla    piu'    ampia    discrezionalita'    dell'Autorita'
Amministrativa. Peraltro, appare difficile ipotizzare che  un'impresa
che occupi 200 dipendenti possa ritenersi (addirittura)  stabilimento
di interesse strategico nazionale. 
    Tutto questo, ripetiamo, appare  poco  rispettoso  dei  parametri
costituzionali di  cui  all'art.  3  della  Carta  costituzionale  in
considerazione del fatto che la scelta dell'autorita'  amministrativa
consente ad una impresa di non subire i rigori di  legge  che  invece
tutte le altre imprese subiscono. 
    La normativa allora non e' piu' caratterizzata dalla  generalita'
ed astrattezza, ma da una chiarissima individualita'  e  concretezza,
nemmeno stabilita da criteri gia' individuati, ma sulla  base  di  un
provvedimento amministrativo idoneo a  spazzare  via  addirittura  un
provvedimento giurisdizionale in atto. 
    Viene  cosi'  a  crearsi  una  disparita'  di  trattamento  senza
precedenti con situazioni identiche trattate in modo differente sotto
il profilo sanzionatorio. 
    Invero, come detto, una cosa e' stabilire le caratteristiche  che
devono avere determinate aziende per beneficiare di  una  determinata
normativa, altro e' stabilire che tali aziende non sono  soggette  al
codice penale ed alla procedura penale per  un  limitato  periodo  di
tempo (36 mesi) e cio' sulla base di una decisione  che  puo'  essere
anche successiva rispetto all'intervento della magistratura. 
    In conclusione, l'art. 3 della Costituzione viene violato perche'
si  stabilisce  semplicemente  che  alcune   aziende,   pur   essendo
sottoposte, tra l'altro, alle norme penali, possono  beneficiare  di'
una sorta di "moratoria" che le esonera, per un periodo di  36  mesi,
dal rispetto di quella normative cui sono comunque sottoposte, e cio'
sulla base di un provvedimento amministrativo totalmente rimesso alla
scelta dell'Autorita' a cio' deputata, provvedimento idoneo a  creare
una evidente disparita'  di  trattamento  tra  imprese  che  compiono
identiche azioni di rilevanza penale. 
    Il profilo di incostituzionalita' sopra  indicato,  peraltro,  si
riflette, da  un  lato  sugli  articoli  101,  102,  103,  104  della
Costituzione, dall'altro sugli articoli 26 e 27  della  stessa  Carta
costituzionale. 
    Come e' noto tali articoli descrivono un sistema  giurisdizionale
di chiara autonomia ed indipendenza della magistratura  ordinaria  da
ogni altro potere dello Stato, con  il  giudice  soggetto  solo  alla
legge. 
    Appare chiaro come le disposizioni del decreto di cui sopra cosi'
come convertito consentono ad  una  determinata  impresa  di  violare
impunemente la legge senza alcuna possibilita'  di  intervento  della
magistratura, anzi addirittura vietando tale  intervento,  ed  ancora
piu' assurdamente bloccando qualsiasi iniziativa giurisdizionale tesa
ad  impedire  la  commissione  di  reati   derivanti   dall'attivita'
produttiva di tali imprese. 
    Sono chiarissime le disposizione del decreto ove si  legge  (art.
1,  comma  4)  che  «le  disposizioni  di  cui  al  comma  1  trovano
applicazione anche  quando  l'autorita'  giudiziaria  abbia  adottato
provvedimenti di  sequestro  sui  beni  dell'impresa  titolare  dello
stabilimento.  In  tale  caso  i  provvedimenti  di   sequestro   non
impediscono l'esercizio dell'attivita' dell'impresa a norma del comma
1.». 
    A cio' si aggiunge l'ulteriore disposizione che  il  giudice  non
solo puo' subire il blocco dei suoi provvedimenti in  atto,  adottati
su richiesta dell'A.G., ma addirittura, considerato  il  disposto  di
cui al comma 2 dell'art. 1 del decreto ove si legge  che  «le  misure
volte ad assicurare la prosecuzione  dell'attivita'  produttiva  sono
esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute  nel  provvedimento
di  autorizzazione  integrata  ambientale,  nonche'  le  prescrizioni
contenute  nel  provvedimento  di  riesame...»,  la  stessa  A.G.  e'
espropriata del potere di accertare eventuali responsabilita'  penali
legate al cattivo funzionamento degli impianti determinato da aspetti
non previsti  dalle  misure  indicate  dall'autorizzazione  integrata
ambientale. 
    Trattasi, come e' evidente, di un totale ed illegittimo, sotto il
profilo  costituzionale,  esproprio  della  funzione  giudiziaria   e
giurisdizionale. 
    Invero, se nessun dubbio sussiste sul fatto che un atto normativo
non puo' modificare una  sentenza  passata  in  giudicato,  lasciando
intatto il quadro normativo sulla base del quale  si  e'  formato  il
giudicato relativo a tale sentenza stessa, e, se  ammissibile  appare
l'incidenza sul giudicato, quale conseguenza della creazione  di  una
norma astratta idonea  ad  innovare  l'ordinamento  giuridico  e  non
semplicemente ad incidere su uno o piu' giudicati, certamente non  in
linea con i precetti  costituzionali  della  separazione  dei  poteri
appare la normativa denunciata. 
    Nel caso di specie, infatti, se pure e'  vero  che  non  sussiste
alcuna sentenza irrevocabile, ma  solo  un  giudicato  cautelare,  e'
altrettanto vero che siamo in presenza di un atto normativo che priva
di ogni efficacia un provvedimento giurisdizionale lasciando,  pero',
inalterato il quadro normativo sulla base del quale e' stato  emanato
tale provvedimento giurisdizionale;  inoltre,  trattasi  di  un  atto
normativo privo dei caratteri della generalita'  ed  astrattezza  che
introduce solo un periodo di sospensione  dell'efficacia  di  diverse
norme dell'ordinamento poste a tutela di interessi costituzionalmente
protetti. 
    Infatti, la mancanza di una sentenza  passata  in  giudicato  non
assume alcun rilievo contrario all'eccezione di costituzionalita' qui
proposta   atteso   che,   come   chiarito    dalla    giurisprudenza
costituzionale  e  di  legittimita',  occorre   considerare   che   i
provvedimenti di natura cautelare  reale  sono  necessari  a  rendere
effettiva la giurisdizione espressa con la sentenza  irrevocabile  di
condanna. Invero, norme che abbiano come esplicito  scopo  quello  di
annullare gli effetti di provvedimenti cautelari gia' disposti ledono
il dovere di prevenire e  reprimere  i  reati  che  senza  dubbio  il
sistema costituzionale riconosce  come  bene  oggetto  di  protezione
(Corte cost., sent. 6 aprile 1973 n. 34  -  Cass.  Pen.  SS.  UU.  29
gennaio 2003, n. 12878). 
    Non a caso la Corte  costituzionale  ha  chiarito  che  le  leggi
provvedimento, come quella qui  denunciata,  sono  ammissibili  entro
limiti  specifici,  come   quello   del   rispetto   della   funzione
giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso  (Corte
cost. 13 luglio 2007, n. 267 - 15 luglio 2005, n. 282). 
    Non vi sono dubbi, peraltro, che tale quadro non  solo  violi  il
principio di separazione dei poteri in relazione alla cd. riserva  di
funzione giurisdizionale, ma, rendendo impossibile l'applicazione  di
quelle norme penali e processuali fondanti l'intervento cautelare nei
casi di pericolo per i beni protetti, si pongono in  netto  contrasto
anche con il dovere dell'ordinamento di reprimere e prevenire i reati
rinvenibile dagli articoli 25 e 27 della Costituzione. 
    Invero, la normativa denunciata prevede un periodo di 36 mesi nei
quale  l'impresa  deve  adottare  le  misure  idonee  al  risanamento
ambientale degli impianti, stabilendo, come unica sanzione,  in  caso
di inadempienze, una pena pecuniaria  (sanzione  amministrativa)  del
10% del fatturato. Tale disciplina determina, in sostanza,  non  solo
l'impedimento per il P.M. di esercitare la sua funzione di  reprimere
e  prevenire   la   commissione   di   reati,   funzione   prodromica
all'esercizio dell'azione  penale  [per  cui  l'Ufficio  (Procura  di
Taranto) ha gia' sollevato conflitto di attribuzione], ma  e'  idonea
anche a sottrarre, da un lato i fatti-reato  commessi  in  quell'arco
temporale al  loro  giudice  naturale  (25  Cost.)  e,  dall'altro  a
vanificare il principio di responsabilita' penale personale  in  capo
agli autori dei reati commessi sempre  in  quell'arco  temporale  (27
Cost.). 
    Ne deriva la chiara violazione degli articoli sopra indicati. 
    Conseguentemente risulta compromesso  anche  un  altro  principio
cardine del nostro ordinamento costituzionale, e cioe' quello sancito
dall'art. 24 della Costituzione: «Tutti possono agire in giudizio per
la tutela dei propri diritti e interessi legittimi». 
    La violazione di tale disposizione costituzionale  e'  sotto  gli
occhi di tutti. 
    Addirittura la legge stabilisce l'esatto  contrario  della  norma
costituzionale e cioe' che nessuno puo'  agire  in  giudizio  per  la
tutela dei propri diritti lesi dall'attivita' inquinante dell'impresa
posta in essere nel periodo dei famosi. 36 mesi concessi dalla legge. 
    Nessuno  puo'  chiedere  di  bloccare  l'emissione  di  diossina,
benzo(a)pirene e altri inquinanti in  modo  diffuso  e  incontrollato
causa di gravissimi danni alla propria salute  e  l'ambiente  in  cui
vive. Il giudice  che  dovesse  ricevere  una  domanda  (citazione  -
ricorso - ecc.) di questo tipo dovrebbe rigettarla perche'  la  legge
autorizza tali emissioni per un periodo di 36 mesi:  unica  sanzione,
come detto, in caso di inadempienze, il 10% del fatturato. 
    Tale  aspetto,  peraltro,  determina  un  ulteriore  profilo   di
incostituzionalita'  in  relazione  all'art.  3  della   Costituzione
creando una disparita' di  trattamento  tra  chi  puo'  agire  contro
l'impresa danneggiante e chi invece non puo' farlo. 
    Altro dubbio di incostituzionalita'  presentano  le  disposizioni
del decreto di cui discutiamo, cosi' come  convertito,  in  relazione
agli articoli 32  e  41  della  Costituzione,  nonche'  in  relazione
all'ormai   riconosciuto   (dalla   Corte   costituzionale)    valore
costituzionale del diritto  ad  un  ambiente  salubre  attraverso  il
combinato disposto degli articoli 2, 9 e 32 della Costituzione. 
    Come e' noto il legislatore, nell'esercizio  del  suo  potere  di
legiferare, nel bilanciamento dei vari  interessi  costituzionalmente
protetti, puo' scegliere in modo discrezionale quale interesse  debba
prevalere sull'altro in ipotesi di situazioni in cui  necessariamente
un interesse deve essere compresso a favore di un altro. 
    La scelta tuttavia non deve essere arbitraria ed irrazionale. 
    In linea di  principio  quindi  una  disciplina  che  prevede  la
prevalenza   di   interessi   legati   all'iniziativa   economica   e
all'occupazione rispetto a  quelli  legati  alla  salute  puo'  anche
superare il giudizio di costituzionalita', ma se  tale  bilanciamento
si risolve in una sostanziale e totale prevaricazione di un interesse
costituzionalmente protetto in danno di un altro esso e'  affetto  da
irragionevolezza   ed   arbitrarieta'   ed   assume   carattere    di
incostituzionalita'. 
    Nel caso che ci occupa non  appare  difficile  individuare  nella
normativa qui denunciata tali caratteristiche che ne  determinano  il
contrasto con la Carta costituzionale. 
    Invero, la tutela della salute appare chiaramente messa da  parte
in favore delle ragioni legate alla produzione ed all'occupazione. 
    Come e' agevole desumere dal testo del provvedimento  l'attivita'
produttiva inquinante viene espressamente autorizzata nonostante essa
sia dannosa per la salute e l'ambiente per un tempo non  superiore  a
36  mesi  a  condizione  che  siano  adempiute  le   condizioni   del
provvedimento di riesame AIA nei termini ivi indicati: unica sanzione
prevista nel caso di violazioni alle prescrizioni stabilite quella di
natura economica. La sanzione amministrativa del  10%  del  fatturato
desumibile dall'ultimo bilancio. 
    A nulla vale ovviamente il richiamo alla clausola di salvaguardia
(art. 1, comma 3 decreto n. 207/12  cosi'  come  convertito)  ove  si
legge «Fermo restando quanto  previsto  dagli  articoli  29-decies  e
29-quattuordecies del decreto legislativo n. 152  del  2006  e  dalle
altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative
contenute nelle normative di settore ...», atteso che tale  normativa
di settore che prevede sanzioni  che  possono  giungere  alla  revoca
dell'AIA con blocco dell'attivita' dell'impresa (art. 29-decies testo
unico 152/2006) non possono  comunque  essere  irrogate  prima  della
scadenza dei 36 mesi. Unica sanzione applicabile prima dei 36 mesi in
caso di inosservanza dei termini AIA e' quella, come detto,  del  10%
del fatturato. Sanzione che ovviamente risulta totalmente  inadeguata
a tutelare salute e ambiente. 
    Per  un  periodo  di  36  mesi  in  sostanza  l'impresa   ha   la
possibilita' di inquinare  anche  se,  per  avventura,  e'  possibile
stabilire molto prima di tale termine che la stessa non si  adeguera'
alle prescrizioni stabilite dall'AIA. 
    Nessun blocco dell'attivita' produttiva e quindi delle  emissioni
nocive e' prevista. 
    Addirittura potremmo dire che la disciplina originaria  stabilita
dall'AIA e' stata ulteriormente modificata in favore della produzione
in danno della salute. Invero, mentre originariamente  era  possibile
giungere a livello sanzionatorio anche al blocco degli  impianti,  il
solo idoneo a tutelare la salute e l'ambiente  attraverso  il  blocco
delle emissioni nocive, con il suddetto decreto  viene  eliminata  la
possibilita' (nei 36 mesi concessi  dalla  legge)  di  giungere  alla
eliminazione delle emissioni nocive a livello sanzionatorio  e  viene
introdotta esclusivamente la sanzione di natura patrimoniale: come  a
dire, la produzione inquinante  deve  comunque  continuare  in  danno
della salute e dell'ambiente, l'importante e' pagare la  possibilita'
di inquinare. 
    E' di  tutta  evidenza  come  tale  disciplina  non  realizza  un
bilanciamento dei diversi interessi in gioco: salute ed  ambiente  da
un  lato  e  produzione  e  occupazione   dall'altro,   ma   annienti
completamente il diritto alla salute  e  ad  un  ambiente  salubre  a
favore di quello economico e produttivo. 
    Scelta   assolutamente    irragionevole    sotto    il    profilo
costituzionale; non esiste una disposizione del  decreto  in  oggetto
che sia idonea a tutelare salute ed ambiente nel momento  in  cui  si
pone il problema di tale tutela, ovvero nel momento in cui  l'impresa
non osservando le disposizioni  del  decreto  ometta  di  intervenire
sugli impianti cosi' come statuito nell'AIA per tempi e  modalita'  e
continui imperterrita nell'attivita' produttiva inquinante. 
    Unica sanzione, come piu' volte  detto,  il  10%  del  fatturato,
sanzione  che  ovviamente  non  e'  idonea  a  bloccare   l'attivita'
inquinante  dello  stabilimento.  Solo  alla  scadenza  del   termine
indicato nel decreto sara' possibile intervenire  con  gli  strumenti
efficaci legati ad interventi che possono  portare  anche  al  blocco
degli impianti. 
    Portando  alle  estreme  conseguenze   la   disciplina   prevista
l'impresa che inquina potrebbe, in via preventiva, pagare la sanzione
del 10% del fatturato  dell'ultimo  bilancio  per  essere  libera  di
continuare nell'attivita' criminale inquinante per  i  successivi  36
mesi. 
    I 36 mesi concessi all'impresa in realta' costituiscono una  vera
e  propria  «cappa»  di  totale  «immunita'»  dalle  norme  penali  e
processuali che non ha eguali nella  storia  del  nostro  ordinamento
giuridico e che  pone  un  pericoloso  precedente  idoneo  a  creare,
peraltro, delle fratture enormi nei principio della  separazione  dei
poteri su cui si fonda il nostro sistema costituzionale. 
    Alla luce di tale assetto costituzionale risulta  evidente  anche
la violazione dell'art. 117  della  Costituzione  in  relazione  alla
normativa comunitaria. 
    Innanzitutto appare chiaramente  violata  la  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea (tenuto conto  di  quanto  stabilito
dall'art. 6 del Trattato di Lisbona) sia con riferimento all'art.  3,
ove e' fatto riferimento al diritto all'integrita' fisica e psichica,
sia con riferimento all'art. 35 ove e' fatto riferimento  al  diritto
alla salute. 
    Ovviamente i profili  di  incostituzionalita'  sono  riferiti  al
rispetto per lo Stato Italiano degli  obblighi  internazionali  cosi'
come statuito dal primo comma dell'art. 117 Cost. sopra indicato. 
    Peraltro, le ragioni di tale mancato rispetto,  in  relazione  al
profilo denunciato, attinente  al  diritto  all'integrita'  fisica  e
psichica e quindi alla salute, sono identiche (e  qui  richiamate)  a
quelle sollevate con riferimento agli  articoli  della  nostra  Carta
costituzionale 32 e 41 (salute e iniziativa economica) da un  lato  e
2, 9, 32 dall'altro (ambiente). 
    Inoltre, appare chiaramente violato l'art. 6 della  CEDU  ove  e'
previsto il diritto ad un equo processo. 
    Invero,  il  sostanziale   divieto   di   agire   nei   confronti
dell'impresa inquinante in ordine ai fatti  lesivi  compiuti  nei  36
mesi concessi dalla normativa di cui  discutiamo  esclude  in  radice
qualsiasi azione idonea ad instaurare un  giusto  processo  per  tali
fatti. 
    Anche sotto tale  profilo  si  richiama  quanto  piu'  ampiamente
sostenuto sopra in ordine alle questioni relativi alla violazione dei
principi di indipendenza e autonomia della magistratura, nonche' agli
articoli 25 e 27 della Costituzione. 
    Ancora risulta violato il Trattato di Lisbona, nella parte in cui
ha modificato i due Trattati fondamentali e cioe' quello  sull'Unione
Europea (TUE) e quello sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE). 
    In particolare,  la  normativa  nazionale  qui  denunciata  viola
l'art. 191 del suddetto Trattato (ex art. 174 C.E.) sul punto ove  e'
sancito il c.d. principio di precauzione secondo cui occorre adottare
tutte quelle misure idonee a prevenire pericolo di danni causati alla
salute e all'ambiente anche in situazioni di incertezza  scientifica;
cio' allo  scopo  di  prevenire  danni  che  una  volta  causati  non
potrebbero essere eliminati in modo adeguato. 
    Appare chiaro che nel caso che ci occupa  consentire  l'attivita'
produttiva dell'ILVA di  Taranto  nelle  condizioni  che  hanno  reso
necessario il sequestro dei suoi impianti significa  porsi  in  netto
contrasto con i  suddetti  Trattati  che  addirittura  anticipano  le
misure di tutela ad una fase di semplice rischio della causazione  di
pericoli per la salute e l'ambiente. A Taranto la fase di rischio  e'
stata gia' ampiamente superata da anni  a  causa  dell'attivita'  del
siderurgico. 
    Qualsiasi  disposizione  normativa  che   autorizzi   l'attivita'
produttiva nonostante  la  stessa  sia  caratterizzata  da  emissioni
nocive alla salute e all'ambiente non puo' che violare  la  normativa
comunitaria sopra indicata. 
    Naturalmente, anche su  tale  punto  si  rinvia  a  quanto  sopra
chiarito quando si e' discusso delle  violazioni  alla  nostra  Carta
costituzionale in tema di salute e ambiente. 
    Le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  delle  norme,  e
segnatamente degli articoli 1 e 3, della legge 24  dicembre  2012  n.
231, di conversione, con modificazione, del decreto-legge 3  dicembre
2012 n. 207, sollevate dai PP.MM. in relazione agli  articoli  3,  9,
24, 25, 27, 32, 101, 102, 103, 104, 117 della Costituzione, risultano
certamente rilevanti per le logiche e  fondate  ragioni  esposte  dai
medesimi PP.MM., ai fini della decisione in  merito  ad  entrambe  le
istanze in argomento. 
    Trattasi, invero,  di  questioni  che,  riguardando  disposizioni
integratrici   del   quadro   normativo   oggetto    di    necessaria
considerazione in vista dell'esercizio del potere decisorio in merito
alle richieste in esame,  risultano  strettamente  pregiudiziali  sia
alla  decisione  sulla  richiesta  dei  PP.MM.   di   modifica,   con
concessione della facolta' d'uso, del decreto di sequestro preventivo
delle aree ed impianti dello stabilimento  ILVA  s.p.a.,  di  cui  la
societa'  e'   gia'   venuta   in   possesso,   e   di   revoca   dei
custodi-amministratori giudiziari di detti beni sottoposti a  vincolo
cautelare, sia alla pronuncia sull'istanza di ILVA s.p.a.  intesa  ad
ottenere sostanzialmente il dissequestro (con  conseguente  rimozione
dei sigilli) del prodotto finito e/o semilavorato dell'attivita'  del
siderurgico tarantino, istanza trasmessa per competenza al G.i.p., ex
art. 321 comma 3 c.p.p., dall'ufficio del P.M., con  parere  negativo
dello stesso ufficio. 
    Invero,  si  consideri,  per  quanto  riguarda  la  richiesta  di
modifica, con  concessione  della  facolta'  d'uso,  del  decreto  di
sequestro preventivo delle aree ed impianti dello  stabilimento  ILVA
s.p.a. e di revoca dei custodi-amministratori giudiziari degli stessi
beni, che: 
        1) le disposizioni della legge n.  231/2012  -  segnatamente,
quelle di cui all'art. 1 commi 1, 2 e 4, e all'art. 3 commi 1, 2 e 3,
per effetto delle quali la societa' ILVA s.p.a. «per  un  periodo  di
trentasei mesi ... e' in ogni caso autorizzata ... alla  prosecuzione
dell'attivita' produttiva  nello  stabilimento  ed  alla  conseguente
commercializzazione  dei  prodotti  ivi  compresi  quelli  realizzati
antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente  decreto
...», conservando  altresi',  ex  art.  2  della  stessa  legge,  «la
gestione e la responsabilita' della conduzione degli impianti ...»  -
non contengono alcuna esplicita previsione di  automatica  cessazione
di efficacia dei provvedimenti di sequestro  «sui  beni  dell'impresa
titolare dello stabilimento» che siano stati adottati  dall'autorita'
giudiziaria, disponendo  la  legge,  all'art.  1  comma  4,  che  «Le
disposizioni di cui al comma  1  trovano  applicazione  anche  quando
l'autorita' giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui
beni  dell'impresa  titolare  dello  stabilimento.  In  tale  caso  i
provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo  di
tempo  indicato   nell'autorizzazione,   l'esercizio   dell'attivita'
d'impresa a norma del comma 1»; una previsione che, come e' evidente,
si limita ad incidere in chiave limitativa - in modo approssimativo e
«atecnico» - sugli effetti dei provvedimenti cautelari  eventualmente
adottati    dall'autorita'    giudiziaria    precedentemente     alla
verificazione dei presupposti e delle condizioni di  cui  all'art.  1
comma 1 della legge n. 231/2012, lasciandoli formalmente in vigore; 
        2)  rispetto  al  preesistente  provvedimento  di   sequestro
preventivo, senza facolta' d'uso a fini  produttivi,  delle  aree  ed
impianti dell'area a caldo dello stabilimento ILVA s.p.a., per la cui
custodia, amministrazione e gestione  l'autorita'  giudiziaria  aveva
proceduto alla nomina di quattro professionisti, non  e'  intervenuta
alcuna pronuncia di annullamento da  parte  di  competente  autorita'
giudiziaria.  Anzi,   come   sopra   evidenziato,   l'ordinanza   del
7/20.08.2012 del  Tribunale  del  riesame  che  ha  confermato  detto
sequestro, ribadendo l'esclusione della facolta' d'uso degli impianti
a fini produttivi e parzialmente modificando le - sole - disposizioni
relative ai profili della esecuzione ed amministrazione-custodia  dei
beni, e' divenuta inoppugnabile, non avendo gli interessati  proposto
ricorso alla Suprema Corte avverso tale ordinanza, sulla quale si  e'
pertanto formato il c.d. giudicato cautelare. 
    Per quanto riguarda, poi, l'istanza avanzata da ILVA  s.p.a.  con
riferimento al prodotto finito e/o  semilavorato  dell'attivita'  del
siderurgico tarantino, si consideri che: 
        3) tale istanza e' fondata esclusivamente sulle  disposizioni
della legge in argomento e, segnatamente, su quella dell'art. 3 comma
3, secondo cui «A decorrere dalla  data  di  entrata  in  vigore  del
presente decreto, per un periodo di trentasei mesi, la societa'  ILVA
S.p.A. di Taranto e' immessa nel possesso dei beni dell'impresa ed e'
in ogni caso autorizzata, nei limiti consentiti dal provvedimento  di
cui al comma 2, alla  prosecuzione  dell'attivita'  produttiva  nello
stabilimento e alla commercializzazione dei  prodotti,  ivi  compresi
quelli realizzati antecedentemente alla data di entrata in vigore del
presente  decreto,  ferma  restando  l'applicazione   di   tutte   le
disposizioni contenute nel medesimo decreto»; 
        4)   deve   ritenersi   tuttora   formalmente   efficace   il
provvedimento di sequestro preventivo  dei  beni  di  cui  l'ILVA  ha
chiesto la restituzione. Invero: 
          rispetto a tale provvedimento  non  e'  intervenuta  alcuna
pronuncia di annullamento o di revoca, ex art. 321 comma 3 c.p.p., da
parte di competente autorita' giudiziaria; 
        b) la legge  in  argomento  non  contempla  alcuna  causa  di
cessazione  automatica  di  efficacia  (che  dovrebbe  comunque,  ove
prevista,   essere   dichiarata,   con   conseguente   adozione   del
provvedimento di dissequestro, rimozione dei sigilli  e  restituzione
dei  beni,  dall'autorita'  giudiziaria  competente  in   merito   al
sequestro) dei provvedimenti  di  sequestro  «sui  beni  dell'impresa
titolare dello stabilimento» che siano stati adottati  dall'autorita'
giudiziaria  [v.  quanto  evidenziato  al  precedente  punto  1),  in
relazione all'art. 1 comma 4 della legge n. 231/2012]. 
    Tali  essendo  il  quadro  normativo  di  specifico  e   concreto
riferimento applicativo ed i provvedimenti cautelari  reali  adottati
nel  presente  procedimento  e  tuttora  efficaci,  la  decisione  su
ciascuna delle due istanze pervenute all'ufficio del G.i.p.  in  data
4.01.2013 non puo' prescindere dalla risoluzione delle  questioni  di
legittimita' costituzionale degli articoli  1  e  3  della  legge  n.
231/2012,  che  detto  quadro  normativo  concorrono  ad   integrare,
sollevate di PP.MM. 
    Operate tali premesse  circa  la  rilevanza  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate  dai  PP.MM.,  e  richiamati  i
provvedimenti cautelari reali adottati nell'ambito  del  procedimento
penale riguardante la vicenda ILVA di Taranto, i relativi presupposti
e le finalita' di legge perseguite (art. 321 comma 1  ed  anche,  per
quanto riguarda il sequestro del prodotto  finito  e/o  semilavorato,
comma 2 c.p.p.), si rileva come le norme, segnatamente gli articoli 1
e 3, della legge 24  dicembre  2012,  n.  231,  di  conversione,  con
modificazione, del decreto-legge 3 dicembre  2012  n.  207,  «recante
disposizioni urgenti a  tutela  della  salute,  dell'ambiente  e  dei
livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti  industriali
di interesse strategico nazionale», suscitino serissimi e  molteplici
dubbi di costituzionalita'. 
    Cio' si ritiene, alla luce sia  delle  argomentazioni  poste  dai
PP.MM. a fondamento delle eccezioni di incostituzionalita'  sollevate
davanti a questo g.i.p., ex articoli 1 legge cost. 9.02.1948 n.  1  e
23 comma  1  legge  11.03.1953  n.  87,  argomentazioni  qui  (sopra)
fedelmente ed integralmente riportate, sia degli ulteriori  motivi  e
profili di incostituzionalita' che in  questa  sede  si  rilevano  di
ufficio, ex art. 23 comma 3 legge 11.03.1953 n. 87, apparendo violati
dalle richiamate disposizioni degli articoli 1 e  3  della  legge  24
dicembre 2012 n. 231 le norme ed i  principi  costituzionali  di  cui
agli articoli 3, 9 comma 2°, 24 comma 1°, 25 comma 1°, 27  comma  1°,
32, 101, 102,  103,  104,  117  comma  1°  della  Costituzione,  come
rappresentato dai PP.MM. nell'atto sopra riportato, nonche' le  norme
di cui agli articoli 2, 41 comma  2°,  107,  111,  112  e  113  della
Costituzione:  motivi  e  profili  che  vanno  ad  aggiungersi  e  ad
integrare quelli rappresentati dai PP.MM.,  pienamente  condivisi  da
questo g.i.p. 
    Anzitutto, le norme in argomento  risultano  porsi  in  stridente
contrasto con il principio costituzionale  della  separazione  tra  i
poteri  dello  Stato,  violando   esse   la   riserva   di   funzione
giurisdizionale attribuita alla magistratura  (art.  102  Cost.:  «La
finzione  giurisdizionale  e'  esercitata  da   magistrati   ordinari
istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario») quale
ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere (articoli 101/110
della Costituzione, in particolare articoli  101/104  e  107  Cost.),
chiamato ad attuare «la giurisdizione  mediante  il  giusto  processo
regolato dalla legge» (art. 111 Cost.). 
    Inoltre, impedendo di fatto l'applicazione di quelle norme penali
e processuali che fondano l'intervento preventivo-cautelare nei  casi
di pericolo per i beni protetti, oggetto di insindacabile giudizio di
merito degli organi giurisdizionali, le norme di cui agli articoli  l
e 3 della legge n. 231/2012  confliggono,  altresi',  con  il  dovere
dell'ordinamento di reprimere e prevenire i reati attraverso l'azione
autonoma ed indipendente della  magistratura,  pubblici  ministeri  e
giudici,  desumibile  dal  combinato  disposto  delle  norme   appena
richiamate  e  da  quelle  degli  articoli  25,  27   e   112   della
Costituzione,  il  quale  ultimo  (art.  112)   pone   il   principio
dell'obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale da  parte  del
Pubblico  ministero  che,  godendo  (art.  107  comma  Cost.)  «delle
garanzie stabilite nei suoi  riguardi  dalle  norme  sull'Ordinamento
giudiziario», secondo quanto previsto da  detto  ordinamento  «veglia
alla osservanza delle leggi, alla pronta e  regolare  amministrazione
della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato,  delle  persone
giuridiche e degli incapaci, richiedendo,  nei  casi  di  urgenza,  i
provvedimenti  cautelari   che   ritiene   necessari;   promuove   la
repressione dei reati e l'applicazione delle misure di sicurezza;  fa
eseguire i giudicati ed ogni altro  provvedimento  del  giudice,  nei
casi stabiliti dalla legge ...» (art. 73 - Attribuzioni generali  del
pubblico ministero), nonche' «inizia ed esercita l'azione penale ...»
(art. 74 - Attribuzioni del pubblico ministero in materia penale). 
    Giova  qui  precisare  che  il   principio   di   obbligatorieta'
dell'azione penale (contrapposto al  principio  di  opportunita'  che
opera, in varia misura, nei sistemi  ad  azione  penale  facoltativa)
comporta che il  Pubblico  ministero  deve  esercitare  l'azione  non
appena ravvisi la commissione di  un  fatto  integrante  al  completo
tutti gli estremi di una figura normativa di reato, cosicche' gli  e'
inibito introdurre valutazioni di convenienza di qualsiasi genere che
mettano in crisi l'automatismo fra quella conoscenza  e  l'iniziativa
incriminatrice. 
    In tal senso si e' pronunciata  la  stessa  Corte  costituzionale
nella sentenza n.  88  del  15.02.1991,  ove  si  legge  anche:  «...
L'obbligatorieta' dell'esercizio  dell'azione  penale  ad  opera  del
Pubblico Ministero ... e'  stata  costituzionalmente  affermata  come
elemento che concorre a garantire, da  un  lato,  l'indipendenza  del
Pubblico  Ministero  nell'esercizio   della   propria   funzione   e,
dall'altro, l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla  legge  penale
... 
    Piu' compiutamente: il principio di legalita' (art.  25,  secondo
comma), che rende doverosa la repressione delle  condotte  violatrici
della legge penale, abbisogna, per  la  sua  concretizzazione,  della
legalita' nel procedere; e questa, in  un  sistema  come  il  nostro,
fondato sul principio di eguaglianza di tutti i cittadini  di  fronte
alla legge (in particolare,  alla  legge  penale),  non  puo'  essere
salvaguardata che attraverso l'obbligatorieta' dell'azione penale ... 
    Il principio di obbligatorieta' e', dunque, punto di  convergenza
di un complesso di  principi  basilari  del  sistema  costituzionale,
talche' il suo venir meno ne altererebbe  l'assetto  complessivo.  Di
conseguenza, l'introduzione del nuovo modello processuale non  lo  ha
scalfito, ne avrebbe  potuto  scalfirlo.  Qui,  anzi,  l'esigenza  di
garantire l'indipendenza del P.M. e' accentuata dalla  concentrazione
in capo a lui della potesta' investigativa, radicalmente sottratta al
giudice ... ». 
    Potesta'  investigativa  che  e'  strettamente  e  funzionalmente
connessa, e prodromica, al  potere-dovere  di  esercizio  dell'azione
penale, e che si sostanzia nel complesso  di  attivita'  mediante  le
quali vengono raccolti elementi di conoscenza intorno ad una  notizia
di reato, idonei a definire  il  fatto  nella  sua  essenzialita',  a
individuare la persona alla quale sia da addebitare e a verificare la
fondatezza della notizia criminis (invero, con ordinanza  n.  73  del
24.02.2006, la Corte costituzionale ha affermato che  la  Procura  e'
«organo direttamente investito delle funzioni previste dall'art.  112
della  Costituzione  e  dunque  gravato  dell'obbligo  di  esercitare
l'azione penale e le  attivita'  di  indagine  a  questa  finalizzate
(cosi', da ultimo, ordinanza n. 404 del 2005)». 
    Cio' premesso, e' agevole rilevare, in primo luogo, come la legge
in argomento  possa  essere  qualificata  quale  legge-provvedimento,
incidendo su un numero  determinato  e  limitato  di  destinatari  ed
avendo un contenuto particolare  e  concreto  (tra  le  tante,  Corte
cost., n. 267/2007; n. 94/2009; n. 137/2009). 
    In particolare, risulta evidente la natura provvedimentale  delle
disposizioni  di'  cui  all'art.  3  («Efficacia  dell'autorizzazione
integrata ambientale rilasciata in data 26.10.2012 alla societa' ILVA
s.p.a. Controlli e garanzie»), incidenti sulla particolare e concreta
situazione di ILVA s.p.a., destinataria specifica ed esclusiva  delle
medesime disposizioni. 
    Non  puo'  sfuggire,  peraltro,  come  la  stessa  disciplina  di
carattere (formalmente) generale dettata dalla legge n. 231/2012 agli
articoli 1 («Efficacia dell'autorizzazione  integrata  ambientale  in
caso di crisi di stabilimenti  industriali  di  interesse  strategico
nazionale») e 2 («Responsabilita' nella conduzione  degli  impianti»)
appaia  «ritagliata»  sulla   specifica   vicenda   del   siderurgico
tarantino, tali articoli contenendo la trasposizione in  un  atto  di
legge di parte delle  decisioni  assunte  dal  Governo  in  esclusiva
relazione  al  caso  ILVA,  modulate  quali  previsioni   dotate   di
astrattezza e generalita'  applicabili,  in  quanto  tali,  ad  altri
stabilimenti industriali rispetto ai quali, in futuro (posto che,  al
momento, la legge in parola risulta applicabile solo  e  soltanto  ad
ILVA s.p.a.), dovessero realizzarsi i presupposti e le condizioni  di
cui all'art. 1 comma 1. 
    Orbene, gia' la previsione dell'art. 1 comma 4, secondo  cui  «Le
disposizioni di cui al comma  1  trovano  applicazione  anche  quando
l'autorita' giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui
beni  dell'impresa  titolare  dello  stabilimento.  In  tale  caso  i
provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo  di
tempo  indicato   nell'autorizzazione,   l'esercizio   dell'attivita'
d'impresa a norma del comma 1», e quella dell'art. 1 comma 2, per  la
quale «Nei casi di cui al comma 1, le misure volte ad  assicurare  la
prosecuzione dell'attivita' produttiva sono esclusivamente e ad  ogni
effetto  quelle  contenute  nel   provvedimento   di   autorizzazione
integrata  ambientale,  nonche'   le   prescrizioni   contenute   nel
provvedimento   di   riesame   ...»,   pongono    seri    dubbi    di
costituzionalita' sotto il profilo del rispetto del  principio  della
separazione  dei  poteri  e  della   compatibilita'   con   l'obbligo
dell'ordinamento di reprimere e prevenire i reati attraverso l'azione
autonoma ed indipendente della magistratura. 
    Invero, viene ad essere  legittimata  comunque,  per  determinate
imprese, la prosecuzione dell'attivita' produttiva (sia pure  per  un
periodo massimo di 36 mesi, ed alle condizioni previste  dall'art.  1
comma 1): 
        a) pur in presenza di provvedimenti di sequestro preventivo -
che comportano, di per  se',  l'indisponibilita'  e  la  perdita  del
possesso - sui beni dell'impresa titolare  dello  stabilimento,  gia'
adottati dall'autorita' giudiziaria, ed anche se la stessa non  abbia
concesso  all'impresa  alcuna  facolta'  d'uso  dei   beni   per   la
prosecuzione dell'attivita' produttiva; 
        b)  a  prescindere   dal   tipo   di   reato/i,   integrato/i
dall'attivita'  d'impresa   di   cui   si   intende   assicurare   la
prosecuzione, in relazione al/i quale/i l'autorita' giudiziaria abbia
disposto il sequestro  o  che  dall'autorita'  giudiziaria  venga/ano
successivamente  accertato/i,  e  dunque  anche  se  si   tratti   di
fattispecie delittuose che prescinda/ano dalle misure e  prescrizioni
di cui all'art. 1 comma 2; 
        c) a seguito di atti amministrativi che vengano adottati  dal
potere esecutivo,  successivamente  ai  provvedimenti  giudiziari  di
sequestro,  proprio  in  relazione  alle  imprese  destinatarie   dei
medesimi provvedimenti dell'autorita' giudiziaria. 
    Appare evidente il vulnus in tal modo inferto ai principi ed alle
norme costituzionali appena richiamate, considerato che l'ordinamento
prevede (anche) la  figura  del  sequestro  preventivo  obbligatorio,
delineato dall'art. 321 comma  1  c.p.p.  (Cass.  SS.UU.,  sent.  del
29.01.2003 n. 12878), misura che il giudice  e',  infatti,  tenuto  a
disporre, su richiesta del P.M., «quando vi e' pericolo che la libera
disponibilita' di una cosa pertinente  al  reato  possa  aggravare  o
protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la  commissione  di
altri reati», e posto che la «esigenza di  prevenire  e  reprimere  i
reati  ...  (e')  ...  un  bene  anch'esso  oggetto   di   protezione
costituzionale»  (Corte  cost.,  sentenza  n.  34/1973)  e  che   «il
principio di legalita' (art. 25, secondo  comma)  rende  doverosa  la
repressione delle condotte violatrici della legge penale ...»  (Corte
cost., sentenza n. 88/1991). 
    Come  condivisibilmente  rappresentato  dai  PP.MM.,   garantendo
comunque ad un numero determinato di imprese (con le  caratteristiche
e alle condizioni di cui all'art. 1 comma 1), per un  periodo  di  36
mesi,  la  prosecuzione  dell'attivita'  produttiva,  le   norme   in
questione inibiscono sostanzialmente alla magistratura di  promuovere
(pubblici   ministeri)   ed    adottare    efficacemente    (giudici)
provvedimenti  cautelari  reali,  e  soprattutto  vanificano   quelli
eventualmente  gia'  in  atto  alla  data  di   realizzazione   delle
condizioni e dei presupposti di cui all'art. 1 comma 1, provvedimenti
tesi doverosamente ad impedire  la  commissione  di  reati  derivanti
dall'attivita' produttiva di dette imprese,  quand'anche  si  dovesse
trattare di reati integrati da elementi che prescindono dalle  misure
e prescrizioni richiamate nel comma 2  dell'art.  1  (in  quanto,  ad
esempio, reati sostanziali e non meramente formali). 
    Tutto cio', senza che la legge in esame prenda in  considerazione
ed  incida  in  alcun  modo  sul  quadro  normativo   processuale   e
sostanziale (presupposti e finalita' del sequestro  preventivo,  tipo
di reato/i in relazione al/i quali il sequestro sia  stato  disposto)
nel cui contesto si inscrive il provvedimento di  sequestro  che  sia
gia' stato adottato dall'autorita' giudiziaria sui beni  dell'impresa
titolare dello stabilimento, e - si badi - pervenendo al risultato di
consentire  al  potere  esecutivo  di  bloccare  e  neutralizzare  la
doverosa iniziativa della magistratura funzionale alla repressione  e
prevenzione dei reati, atteso che viene vanificato il  gia'  adottato
provvedimento di sequestro attraverso  la  successiva  emanazione  di
atti del potere esecutivo, quali sono il decreto del  Presidente  del
Consiglio dei ministri  che  intervenga  a  dichiarare  di  interesse
strategico nazionale lo stabilimento industriale  i  cui  beni  siano
stati sottoposti a vincolo cautelare, e l'autorizzazione del Ministro
dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio  e  del  mare   alla
prosecuzione  dell'attivita'  produttiva,   che   venga   ad   essere
rilasciata  in  sede   di   riesame   dell'autorizzazione   integrata
ambientale. 
    Occorre ricordare, ancora, che, secondo la  giurisprudenza  della
Corte di cassazione (SS.  UU.  29.01.2003  n.  12878),  il  sequestro
preventivo,  oltre  ad  avere   «fondamento   cautelare   processuale
consistente  nella  necessita'  di  tutela  della  collettivita'   in
relazione al protrarsi dell'attivita' criminosa e dei  suoi  effetti»
ed essere «provvedimento inibitorio inteso a stabilire un vincolo  di
indisponibilita' in riferimento ad una cosa mobile od immobile il cui
uso e' ricompreso  necessariamente  nell'agire  vietato  dalla  legge
penale», e' «misura di coercizione reale ......connessa e strumentale
allo svolgimento del  procedimento  penale  ed  all'accertamento  del
reato per cui si procede, nel  senso  che  e'  suo  scopo  quello  di
evitare   che   il   trascorrere   del   tempo   possa   pregiudicare
irrimediabilmente l'effettivita' della giurisdizione espressa con  la
sentenza irrevocabile di condanna». 
    In definitiva, norme che  consentono  sostanzialmente  al  potere
esecutivo di neutralizzare, con propri atti successivi,  gli  effetti
di un provvedimento  cautelare  reale  gia'  disposto  dall'autorita'
giudiziaria in relazione ad una determinata impresa, pur  in  assenza
di  modifiche  legislative  della   piattaforma   normativa   penale,
sostanziale e processuale, sulla cui base il provvedimento sia  stato
adottato,  sembrano  porsi  in  palese   contrasto   con   la   Carta
costituzionale, ed in particolare sia col principio della separazione
dei  poteri  -  tali  norme   violando   la   riserva   di   funzione
giurisdizionale attribuita alla magistratura quale ordine autonomo  e
indipendente  da  ogni  altro  potere,   chiamato   ad   attuare   la
giurisdizione mediante il giusto processo regolato dalla legge -  sia
con l'inderogabile dovere dell'ordinamento di reprimere e prevenire i
reati   attraverso   l'azione   autonoma   ed   indipendente    della
magistratura, pubblici ministeri e giudici. 
    Si consideri che la stessa Corte costituzionale (sentenza n.  321
del 1998), dichiarando l'illegittimita' costituzionale di  una  norma
(l'art. 1-bis del decreto-legge 19.06.1997 n.  172,  «Misure  urgenti
per fronteggiare l'eccezionale carenza di disponibilita'  abitativa»,
aggiunto dalla legge di conversione 25.07.1997 n. 240) nella parte in
cui prevedeva che il prefetto  potesse  determinare  il  differimento
della singola esecuzione forzata, osservava, tra l'altro: 
        ... l'enunciato normativo ... investito  dalla  questione  di
legittimita' costituzionale ... interpreta gli articoli  3  e  5  del
decreto-legge n. 551 del 1988, nel senso che il prefetto  puo'  anche
determinare puntualmente i tempi e le modalita' di concessione  della
forza pubblica in correlazione alle  situazioni  di  volta  in  volta
emergenti ed in deroga all'ordine di presentazione  delle  richieste,
in tal modo intervenendo nella singola procedura esecutiva, che  puo'
non essere portata a  compimento  per  effetto  della  determinazione
amministrativa del prefetto ... Si tratta di un intervento che giunge
a  determinare  un  sostanziale  differimento  amministrativo   della
singola esecuzione forzata,  incidendo  in  tal  modo  sul  principio
costituzionale  della   tutela   giurisdizionale   delle   situazioni
soggettive. Difatti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei
propri diritti (art.  24,  primo  comma,  Cost.)  comprende  la  fase
dell'esecuzione forzata, la quale  e'  diretta  a  rendere  effettiva
l'attuazione dei provvedimenti giurisdizionali, che non  puo'  essere
elusa o condizionata da valutazioni amministrative  di  opportunita'.
L'illegittimita'  costituzionale  della  norma   interpretativa   non
travolge la disposizione interpretata,  il  cui  contenuto  normativo
permane  nel  senso  rispettoso  della  tutela   e   della   funzione
giurisdizionale, che la giurisprudenza aveva gia' individuato». 
    Dunque,   la   funzione   giurisdizionale   non    puo'    subire
condizionamenti o elusioni ad opera di  provvedimenti  che  la  legge
affidi al potere amministrativo. 
    I dubbi di legittimita' costituzionale  sin  qui  evidenziati  in
ordine alle norme di cui all'art. 1 della  legge  n.  231/2012,  alla
luce delle norme e principi della  Costituzione  sopra  indicati,  si
profilano con  pari,  se  non  maggiore,  consistenza  rispetto  alle
specifiche norme-provvedimento di cui all'art. 3 della stessa  legge:
«Efficacia dell'autorizzazione  integrata  ambientale  rilasciata  in
data 26 ottobre 2012 alla societa' ILVA S.p.a. Controlli e garanzie». 
    Tale articolo, dopo  avere  qualificato  al  comma  1  l'impianto
siderurgico della societa' ILVA s.p.a. di Taranto quale «stabilimento
di  interesse  strategico  nazionale»  (dunque,  una   individuazione
diretta ex lege e non, come previsto dall'art. 1  comma  1,  mediante
decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri),  e  disposto  al
comma 2 che l'AIA rilasciata all'ILVA il 26 ottobre 2012 «contiene le
prescrizioni  volte  ad  assicurare  la  prosecuzione  dell'attivita'
produttiva» del medesimo stabilimento  (cosi'  dotando  di  forza  di
legge i contenuti del provvedimento  amministrativo),  stabilisce  al
comma 3 (da conciare alla previsione formalmente astratta e generale,
ma in realta' strettamente ritagliata sulla  situazione  concreta  di
ILVA s.p.a., di cui all'art. 1 comma 4) che « A decorrere dalla  data
di entrata  in  vigore  del  presente  decreto,  per  un  periodo  di
trentasei mesi, la societa' ILVA S.p.A. di  Taranto  e'  immessa  nel
possesso dei beni dell'impresa ed e' in ogni  caso  autorizzata,  nei
limiti  consentiti  dal  provvedimento  di  cui  al  comma  2,   alla
prosecuzione dell'attivita'  produttiva  nello  stabilimento  e  alla
commercializzazione dei  prodotti,  ivi  compresi  quelli  realizzati
antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto,
ferma restando l'applicazione di tutte le disposizioni contenute  nel
medesimo decreto». 
    Premesse  le  considerazioni  gia'   svolte   circa   la   natura
provvedimentale di dette disposizioni,  si  osserva  che  secondo  la
consolidata   giurisprudenza   della    Corte    costituzionale    le
leggi-provvedimento, tali perche' incidenti su un numero  determinato
e limitato di  destinatari  ed  aventi  un  contenuto  particolare  e
concreto, non  sono  precluse  dalla  Costituzione,  non  sussistendo
alcuna disposizione costituzionale (o statutaria)  che  comporti  una
riserva  agli  organi  amministrativi  o  «esecutivi»  degli  atti  a
contenuto particolare e concreto. 
    Dunque, «non e' vietata l'attrazione alla legge, anche regionale,
della  disciplina  di  oggetti   o   materie   normalmente   affidati
all'autorita' amministrativa, purche' siano osservati i  principi  di
ragionevolezza  e  non  arbitrarieta'   e   dell'intangibilita'   del
giudicato e non sia vulnerata la funzione giurisdizionale  in  ordine
alla decisione delle  cause  in  corso»,  quest'ultimo  inteso  quale
«limite  specifico»  all'ammissibilita'   delle   leggi-provvedimento
rispetto  al  «limite  generale»  del  «rispetto  del  principio   di
ragionevolezza e non arbitrarieta'» (tra le tante,  Corte  cost.,  n.
94/2009; n. 137/2009; n. 267/2007; n. 241/2008; n. 492/1995). 
    Inoltre,    nello    scrutinio    di     costituzionalita'     di
leggi-provvedimento  da  cui  possa  essere  vulnerata  la   funzione
giurisdizionale in  ordine  alle  decisioni  delle  cause  in  corso,
«peculiare valenza sintomatica assume la  considerazione  del  tempo,
delle  modalita'  e  del  contesto  in  cui  e'  stata   emanata   la
disposizione censurata». Alla  luce  dei  quali  parametri  la  Corte
costituzionale  (sentenza  n.  267/2007)  e'  giunta   a   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11-quinquies, comma 7,  del
decreto-legge 30.09.2005, n. 203, inserito dalla legge di conversione
2.12.2005, n. 248 in quanto, «sebbene alla data di  emanazione  della
norma censurata non sussistesse un giudicato formale, finalita' della
medesima e' stata quella di eludere  l'esecuzione  di  due  sentenze,
impugnabili solo per motivi di giurisdizione ...». 
    In varie occasioni (v. sentenze richiamate  in  Corte  cost.,  n.
397/1994), la Corte costituzionale ha affermato che  «il  legislatore
vulnera  le  funzioni  giurisdizionali:  a)  quando  intervenga   per
annullare  gli  effetti  del  giudicato;  b)  quando  la  legge   sia
intenzionalmente diretta ad  incidere  su  concrete  fattispecie  sub
iudice». Quale esempio di tale ultima ipotesi, si cita, nella  stessa
sentenza, la norma dell'art. 10 primo comma della legge 6.08.1984  n.
425, di cui essa Corte dichiarava l'incostituzionalita' con  sentenza
n. 123 del 1987, norma che, precludendo al giudice  la  decisione  di
merito, gli imponeva di  dichiarare  d'ufficio  l'estinzione  di  una
serie di procedimenti giudiziari gia' instaurati, in qualsiasi  stato
e grado si trovassero alla data di  entrata  in  vigore  della  norma
stessa, cosi' violando  «il  valore  costituzionale  del  diritto  di
agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere  una
decisione  di  merito  senza  onerose  reiterazioni».  Orbene,  nella
sentenza n. 397/1994 la Consulta indica tale norma quale esempio di -
costituzionalmente illegittima - incidenza di una norma su giudizi in
corso,  risultando   in   quel   caso   «l'intenzione   della   legge
interpretativa di vincolare il giudice ad  assumere  una  determinata
decisione in specifiche ed individuate controversie». 
    Ed ancora, la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che
«un intervento legislativo che riguardi solamente alcuni  giudizi  in
corso ad una certa data e' privo del requisito di astrattezza proprio
delle  norme  giuridiche  ed  assume  un  carattere   provvedimentale
generale invasivo dell'ambito riservato alla  giurisdizione»  (numeri
413 del 2008 e 22 del 2009). 
    Ed allora, se e' vero che una legge  non  puo'  porre  nel  nulla
procedimenti   giudiziari   gia'   iniziati;    che    la    funzione
giurisdizionale non puo' essere condizionata da provvedimenti che  la
legge affida al potere amministrativo  («...  l'effettiva  attuazione
dei  provvedimenti  giurisdizionali  ...  non  puo'  essere  elusa  o
condizionata da  valutazioni  amministrative  di  opportunita'  ...»;
Corte cost., n. 321/1998); che nella valutazione della  questione  di
costituzionalita' di una legge-provvedimento, sollevata in  relazione
al  profilo  del  rispetto  delle  le   funzioni   costituzionalmente
riservate al  potere  giudiziario,  «assume  valenza  sintomatica  la
considerazione del tempo, delle modalita' e del contesto  in  cui  e'
stata emanata la disposizione censurata», cosicche' ne va esclusa  la
legittimita' costituzionale ove emerga che la finalita'  della  norma
sia quella di  eludere  l'esecuzione  di  determinate  sentenze,  per
quanto non ancora passate in giudicato (Corte cost., n. 267/2007); se
e' vero, in  definitiva,  che  la  funzione  giurisdizionale  che  la
Costituzione riserva alla magistratura  e'  vulnerata  da  interventi
legislativi  diretti  intenzionalmente  ad   incidere   su   concrete
fattispecie  sub  iudice,   ossia   su   specifici   ed   individuati
procedimenti giudiziari, non puo' non apparire manifesta  l'invasione
della sfera di attribuzioni costituzionalmente  riservate  al  potere
giudiziario che si e' consumata con la legge n. 231/2012. 
    Attraverso un uso abnorme della funzione normativa si e'  giunti,
invero, ad una sorta di revoca legislativa nominale dei provvedimenti
giudiziari cautelari emessi (il 25.07.2012 ed  il  22.11.2012)  dalla
competente autorita' giudiziaria  nei  confronti  dello  stabilimento
siderurgico tarantino ILVA s.p.a., di cui sono stati nullificati  gli
effetti.    Altrettanto    evidente    ed    inconfutabile    risulta
l'intenzionalita'  e  la  specificita'   dell'operazione   normativa,
promossa  dal  Governo  attraverso  lo  strumento  del  decreto-legge
proprio al fine di sottrarre, con urgenza, i beni  in  sequestro  (le
aree e gli impianti adibiti alle  lavorazioni  a  caldo,  nonche'  il
prodotto  finito  e/o  semilavorato  dell'attivita'   derivante   dai
processi produttivi degli impianti gia' sottoposti  a  sequestro)  ai
vincoli  e  divieti  imposti   sugli   stessi   beni   dall'autorita'
giudiziaria (vincolo di indisponibilita' e spossessamento dei beni, e
divieto di uso degli impianti a fini produttivi) e  restituirli  alla
piena disponibilita' ed uso della societa', alla quale si e'  infatti
assicurata per 36  mesi,  con  effetto  immediato,  l'immissione  nel
possesso dei beni dell'impresa, e l'autorizzazione, «in ogni caso»  e
con i soli «limiti consentiti dal provvedimento di cui  al  comma  2»
(AIA rilasciata  il  26.10.2012),  alla  prosecuzione  dell'attivita'
produttiva  nello  stabilimento  e   alla   commercializzazione   dei
prodotti, ivi compresi quelli realizzati antecedentemente  alla  data
di entrata in vigore del decreto. 
    Usurpando le  funzioni  costituzionalmente  riservate  al  potere
giudiziario, il legislatore si e' di fatto atteggiato  quale  giudice
di   istanza   superiore   rispetto   ai   provvedimenti    cautelari
legittimamente adottati nell'ambito di  questo  procedimento  penale,
sovrapponendo ad hoc in chiave di sostituzione/neutralizzazione, agli
effetti propri dei due  provvedimenti  giudiziari  in  argomento,  le
proprie autorizzazioni in favore  dell'ILVA  a  proseguire  «in  ogni
caso» nell'attivita'  produttiva  e  a  commercializzare  i  prodotti
derivanti, compresi quelli gia' sottoposti a sequestro preventivo. 
    Il  tutto  -  si  badi  -  lasciando  inalterata  la  piattaforma
normativa,  sostanziale  e  processuale,  sulla  cui   base   i   due
provvedimenti cautelari sono stati  adottati:  senza  in  alcun  modo
incidere, cioe', ne' sulle fattispecie di reato (trattasi di  delitti
sostanziali configurati dal codice penale,  specificati  nella  prima
parte di questa ordinanza, che prescindono dalle prescrizioni di  cui
all'art. 1 comma 2 e  3  comma  2)  in  relazione  alle  quali  detti
provvedimenti  sono  stati  emessi,   e   che   vengono   ad   essere
concretamente    realizzate    proprio     attraverso     l'esercizio
dell'attivita' produttiva nell'attuale stato degli impianti dell'area
a caldo, ne' su  presupposti,  finalita'  ed  effetti  del  sequestro
preventivo disciplinato dall'art. 321 c.p.p. 
    A  proposito  della  disciplina   sostanziale   di   riferimento,
peraltro,  non  sembra  superfluo  sottolineare  (si  veda  la  parte
preliminare della presente ordinanza) che per  gli  stessi  reati  in
relazione ai quali sono stati emessi i  due  provvedimenti  cautelari
reali, piu' soggetti, tra cui Riva Emilio, Riva Nicola e  Riva  Fabio
Arturo (quest'ultimo tuttora  latitante),  sono  stati  raggiunti  da
misure cautelari personali, e che il 17  gennaio  2013  la  Corte  di
cassazione, rigettando i  ricorsi  proposti  nell'interesse  di  Riva
Emilio, Riva  Nicola  e  Capogrosso  Luigi  avverso  l'ordinanza  del
Tribunale del riesame confermativa della misura  cautelare  personale
disposta da questo g.i.p. il 25.07.2012, ha evidentemente  (per  quel
che qui rileva) riconosciuto la configurabilita'  in  concreto  delle
fattispecie delittuose ipotizzate dalla Procura della  Repubblica  di
Taranto. 
    Ne' deve dimenticarsi che la pronuncia del Tribunale del  riesame
sul sequestro degli impianti e' divenuta  inoppugnabile,  non  avendo
gli interessati proposto ricorso  alla  Suprema  Corte  avverso  tale
ordinanza, sulla quale si  e',  dunque,  formato  il  c.d.  giudicato
cautelare. 
    E'  evidente,  allora,  che  l'incidenza  sui  due  provvedimenti
giudiziari in argomento non costituisce affatto l'effetto necessitato
della creazione di regole astratte volte  ad  innovare  l'ordinamento
giuridico,  suscettibili  in  quanto  tali  di  indiretta   incidenza
generale su tutti i procedimenti-giudiziari, in corso o futuri (Corte
cost., sent. n. 374/2000; sent. n. 397/1994) e sugli stessi giudicati
(Corte cost., sent. 352/2006, ove si legge, tra l'altro: «censurabili
sono (soltanto, n.d.r.)  quelle  leggi  di  sanatoria  il  cui  unico
intento e' quello di incidere su uno o piu'  giudicati,  non  potendo
essere consentito al legislatore di risolvere  direttamente,  con  la
forma di legge, concrete  controversie»),  ma  dipende  dalla  mirata
volonta'  del  legislatore  di  «correzione  concreta  dell'attivita'
giurisdizionale» (Corte cost., sent. n. 374/2000) posta in essere nel
procedimento penale riguardante l'ILVA s.p.a.: operazione  lesiva  in
quanto tale della riserva di funzione giurisdizionale attribuita alla
magistratura. 
    Per le ragioni sin qui esposte (che, si ribadisce, si  aggiungono
a quelle sostenute dai PP.MM.), le norme in esame risultano di  assai
dubbia costituzionalita' sotto il profilo del rispetto del  principio
della  separazione  dei  poteri,  apparendo  violata  la  riserva  di
funzione  giurisdizionale  attribuita  alla  magistratura  (art.  102
Cost.) quale ordine autonomo e  indipendente  da  ogni  altro  potere
(articoli 101/110 della Costituzione, in particolare articoli 101/104
e 107 Cost.), chiamato ad attuare «la giurisdizione ...  mediante  il
giusto processo regolato dalla legge» (art. 111 Cost.). 
    Altrettanto dubbia risulta la compatibilita' delle  stesse  norme
con l'obbligo dell'ordinamento  di  reprimere  e  prevenire  i  reati
(desumibile dal combinato disposto delle norme appena richiamate e da
quelle degli articoli 25, 27 e  112  della  Costituzione)  attraverso
l'azione autonoma ed indipendente del potere giudiziario. 
    Sul punto, si richiamano integralmente tutti le considerazioni ed
i rilievi precedentemente svolti con riferimento alle disposizioni di
cui all'art. 1 - commi 1, 2 e 4 della  legge  n.  231/2012,  compresi
quelle attinenti alle finalita' del sequestro preventivo. 
    Con riferimento al sequestro delle aree e degli impianti disposto
il  25.07.2012,  si  osserva  che  e'  certamente  ipotizzabile,   in
astratto, un sequestro preventivo con facolta' d'uso.  Tuttavia  tale
particolare  disposizione  deve  essere  prevista  direttamente   dal
magistrato nel contesto del provvedimento che viene cosi' strutturato
in via genetica o, comunque, in tal  senso  modificato  in  corso  di
esecuzione, ma sempre dall'autorita'  giudiziaria,  chiamata  in  via
esclusiva a valutare se la facolta' d'uso dei  beni  sequestrati  sia
compatibile con il fine cautelare preventivo di impedire che il reato
venga portato a conseguenze ulteriori e/o reiterato, fine proprio del
sequestro preventivo obbligatorio, delineato dall'art.  321  comma  1
c.p.p. (Cass. SS.UU., sent. del 29.01.2003 n. 12878). 
    Quanto al sequestro, disposto con provvedimento  del  22.11.2012,
del prodotto finito e/o  semilavorato  dell'attivita'  derivante  dai
processi  produttivi  degli  impianti  dell'ILVA  gia'  sottoposti  a
sequestro,   si   rileva   che   la   previsione   ex   lege    della
commercializzazione  di  detti  beni  mobili  svuota   di   qualunque
contenuto ed efficacia il provvedimento  cautelare,  il  cui  effetto
essenziale e' la proprio la indisponibilita' giuridica della res.  E'
evidente che la consentita  commercializzazione  dei  beni,  pur  nel
formale mantenimento del vincolo,  vale  a  frustrare  in  radice  le
finalita' del sequestro e, in particolare, i  diritti  che  lo  Stato
potrebbe esercitare sugli stessi all'esito del processo,  quali  beni
suscettibili di confisca. 
    L'intervento legislativo riguardante lo stabilimento  siderurgico
tarantino   di   ILVA   s.p.a.    suscita    ulteriori    dubbi    di
costituzionalita'. 
    Invero, premesso che i reati ipotizzati dall'ufficio del Pubblico
Ministero, in relazione ai  quali  e'  stato  disposto  il  sequestro
preventivo degli impianti dell'area a caldo e del prodotto finito e/o
semilavorato dell'attivita'  derivante  dai  processi  produttivi  di
detti impianti, sono reati (sostanziali, e non meramente formali, che
prescindono dalle  prescrizioni  dell'AIA)  di  pericolo,  aggravanti
dall'evento, di natura  permanente  o,  quanto  meno,  istantanea  ad
effetti permanenti (riguardando, nella specie, impianti industriali a
ciclo continuo), commessi  attraverso  l'attivita'  produttiva  degli
impianti dell'area a caldo del siderurgico tarantino, si osserva che,
oltre  ad  avere  annullato  l'efficacia  dei  due  provvedimenti  in
argomento,  adottati  doverosamente  dall'autorita'  giudiziaria  per
evitare  il  protrarsi  e/o  l'aggravarsi  dei  reati  e  delle  loro
conseguenze, la legge n. 231/2012 ha di fatto legittimato -  mediante
l'autorizzazione alla prosecuzione dell'attivita' produttiva (art. 1,
comma 4 e art. 3, comma 3) per un periodo determinato, e tenuto conto
delle attuali, gravissime criticita' strutturali e  funzionali  degli
impianti - la sicura commissione  di  ulteriori  fatti  integranti  i
medesimi reati per i quali si procede. 
    Ne consegue che, pur in presenza di una  perdurante  lesione  dei
beni giuridici tutelati dalle fattispecie  incriminatrici  ipotizzate
dai PP.MM. (trattasi, come detto, di  gravissimi  delitti  contro  la
pubblica incolumita'), nel periodo indicato dal legislatore viene  ad
essere inibito al P.M. di perseguire  tali  fatti,  di  formulare  le
relative imputazioni oltrepassando, con riferimento alla  indicazione
del tempus commissi  delicti,  la  data  di  entrata  in  vigore  del
decreto-legge n. 207/2102, e di addebitarli ai lori autori. 
    Come specificato dagli stessi  PP.MM.,  la  disciplina  in  esame
«determina, in  sostanza,  non  solo  l'impedimento  per  il  P.M  di
esercitare la sua funzione di reprimere e prevenire la commissione di
reati, funzione prodromica all'esercizio dell'azione penale ... ma e'
idonea anche a sottrarre,  da  un  lato  i  fatti-reato  commessi  in
quell'arco  temporale  al  loro  giudice  naturale  (25   Cost.)   e,
dall'altro a vanificare principio di responsabilita' penale personale
in capo agli autori dei reati commessi sempre in quell'arco temporale
(27 Cost.)». 
    Tali disposizioni - richiamate le osservazioni sopra  svolte  con
riferimento alle previsioni dell'art. 1 - non possono  non  risultare
di dubbia costituzionalita' poiche' non compatibili, nuovamente,  con
il  dovere  dell'ordinamento  di  reprimere  e  prevenire   i   reati
attraverso l'azione  autonoma  ed  indipendente  della  magistratura,
desumibile dal combinato disposto degli articoli 25, 27 e  112  della
Costituzione,  nonche'  dalla  riserva  di  funzione  giurisdizionale
attribuita alla magistratura (art. 102 Cost.) quale ordine autonomo e
indipendente  da  ogni   altro   potere   (articoli   101/110   della
Costituzione, in particolare articoli 101/104 e 107 Cost.),  chiamato
ad attuare «la giurisdizione mediante  il  giusto  processo  regolato
dalla legge» (art. 111 Cost.). 
    Non solo. Per  le  ragioni  appena  esposte,  lo  stesso  periodo
indicato dal legislatore (36 mesi) risulta definire  cronologicamente
una fase, per cosi' dire, di  sospensione  della  effettivita'  della
tutela giurisdizionale dei beni, costituzionalmente  rilevanti,  lesi
dai reati  stessi,  con  palese  violazione,  altresi',  della  norma
dell'art. 24 comma 1 della Costituzione, secondo cui  «Tutti  possono
agire in giudizio per  la  tutela  dei  propri  diritti  e  interessi
legittimi». 
    Invero, l'inibizione delle  funzioni  giudiziarie  proprie  della
magistratura e, in primo luogo,  del  Pubblico  Ministero,  volte  ad
attuare la repressione e prevenzione  dei  reati,  che  costituiscono
(come in precedenza si  e'  rappresentato)  «...  un  bene  anch'esso
oggetto di  protezione  costituzionale»  (Corte  cost.,  sentenza  n.
34/1973), in un ordinamento in cui «il  principio  costituzionale  di
legalita' (art. 25, secondo comma) ... rende doverosa la  repressione
delle condotte violatrici  della  legge  penale  ...»  (Corte  cost.,
sentenza  n.  88/1991),  priva  di  pratica  utilita'  le   eventuali
sollecitazioni dei  privati  tese  a  promuovere  presso  l'autorita'
giudiziaria - con istanze, denunce, querele,  esposti,  segnalazioni,
citazioni, ricorsi e quant'altro - la difesa dei diritti e  dei  beni
offesi dall'attivita' delittuosa comunque consentita dalla  legge  n.
231/2012 attraverso l'autorizzazione alla prosecuzione dell'attivita'
produttiva di ILVA s.p.a.  integrante  i  reati  contro  la  pubblica
incolumita' previsti dal codice penale  ed  ipotizzati  dal  pubblico
ministero: reati la cui disciplina - giova ribadirlo - il legislatore
non ha certamente modificato. 
    Dubbi di costituzionalita' desta, poi, in rapporto  all'art.  113
della Costituzione, la previsione dell'art. 3 comma 2 della legge  n.
231/2012, in forza della quale assurge al rango di atto avente  forza
di legge «l'autorizzazione integrata ambientale rilasciata in data 26
ottobre 2012 alla societa'  ILVA  s.p.a.  con  decreto  del  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del  mare»,  contenente
«le prescrizioni volte ad assicurare la  prosecuzione  dell'attivita'
produttiva  dello  stabilimento  siderurgico  della   societa'   ILVA
s.p.a.», come espressamente indicato dalla norma. 
    La conseguenza di siffatta previsione  e'  che  rispetto  all'AIA
rilasciata in data 26 ottobre  2012  in  favore  dell'ILVA  viene  ad
essere  preclusa  la  tutela  giurisdizionale  dei  diritti  e  degli
interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria  o
amministrativa,  che  la  norma  dell'art.  113  della   Costituzione
dichiara   «sempre   ammessa   contro   gli   atti   della   pubblica
amministrazione», quale e', per l'appunto, l'autorizzazione integrata
ambientale rilasciata agli stabilimenti industriali. 
    Tale norma  determina,  peraltro,  una  ulteriore,  irragionevole
disuguaglianza tra i cittadini  (censurabile  ex  art.  3  Cost.),  a
seconda che i diritti ed interessi legittimi di  cui  siano  titolari
debbano essere fatti valere in rapporto ad  autorizzazioni  integrate
ambientali rilasciate ad altri  stabilimenti  industriali,  nel  qual
caso ne e' ammessa la  tutela  giurisdizionale  dinanzi  agli  organi
della giurisdizione ordinaria o amministrativa,  ovvero  in  rapporto
all'AIA rilasciata ad ILVA s.p.a. lo  scorso  ottobre,  caso  per  il
quale tale tutela e' preclusa. 
    In questa sede si richiamano poi, integralmente, i rilievi  e  le
argomentazioni,  che  questo  g.i.p.   condivide   apprezzandone   la
fondatezza e la logicita', poste dai PP.MM. alla base delle questioni
di legittimita' costituzionale sollevate in relazione alla  legge  n.
231/2012, in particolare agli articoli 1 e 3, per  contrasto  con  il
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    All'esito  di  dette   considerazioni,   sviluppate   anche   con
riferimento alla «eccessiva astrattezza» del decreto  del  Presidente
del Consiglio  dei  Ministeri  che,  ex  art.  l  comma  1,  dovrebbe
individuare  il  singolo  «stabilimento   di   interesse   strategico
nazionale» [osservano infatti i PP.MM.: «... Non risulta chiaro  cosa
il  legislatore  abbia  voluto  indicare  con   la   definizione   di
stabilimento  di  interesse  strategico  nazionale.  Quali   sono   i
parametri? Quali le caratteristiche? Tutto sembra rimesso  alla  piu'
ampia  discrezionalita'  dell'Autorita'   Amministrativa.   Peraltro,
appare difficile ipotizzare che un'impresa che occupi 200  dipendenti
possa ritenersi (addirittura) stabilimento  di  interesse  strategico
nazionale.  Tutto  questo  appare  poco  rispettoso   dei   parametri
costituzionali di  cui  all'art.  3  della  Carta  costituzionale  in
considerazione del fatto che la scelta dell'autorita'  amministrativa
consente ad una impresa di non subire i rigori di  legge  che  invece
tutte le altre imprese subiscono ...»; ci si chiede, a tal proposito:
se nello stabilimento lavorano 199 dipendenti  la  magistratura  puo'
intervenire e sequestrare uno stabilimento altamente inquinante e che
uccide, e  se  invece  ve  ne  lavorano  201  no?],  i  PP.MM.  cosi'
concludono:  «...  l'art.  3  viene  violato  perche'  si  stabilisce
semplicemente  che  alcune  aziende,  pur  essendo  sottoposte,   tra
l'altro, alle norme penali,  possono  beneficiare  di  una  sorta  di
"moratoria" che le esonera, per un periodo di 36 mesi,  dal  rispetto
di quella normative cui sono comunque sottoposte, e cio'  sulla  base
di un provvedimento amministrativo  totalmente  rimesso  alla  scelta
dell'Autorita' a cio' deputata, provvedimento  idoneo  a  creare  una
evidente disparita' di trattamento tra imprese che compiono identiche
azioni di rilevanza penale ...». 
    La irragionevole disparita' di trattamento  tra  imprese  che  si
trovino a versare nella stessa situazione di  fatto,  qui  censurata,
determina, altresi', «un ulteriore profilo di incostituzionalita'  in
relazione all'art. 3 della Costituzione, creando  una  disparita'  di
trattamento tra chi puo' agire contro l'impresa  danneggiante  e  chi
invece non puo' farlo», per le ragioni gia' esposte  con  riferimento
alla violazione dell'art. 24 della Costituzione. 
    Ulteriori dubbi di compatibilita' con il principio di uguaglianza
(art. 3 Cost.) solleva, poi, la previsione dell'art. 3 comma 3  della
legge n. 231/2012, per la parte in cui autorizza  l'ILVA,  oltre  che
alla      prosecuzione      dell'attivita'      produttiva,      alla
«commercializzazione dei prodotti,  ivi  compresi  quelli  realizzati
antecedentemente alla data di entrata in vigore» del decreto-legge n.
207/2012. 
    Sinteticamente, si consideri che, per effetto delle  disposizioni
impugnate  -  in  assenza  di  una  modifica  del  quadro   normativo
sostanziale e processuale di riferimento, integrato, oltre che  norme
del codice penale che configurano le fattispecie di reato  contestate
nel decreto di sequestro del 22.11.2012 e da  quella  del  codice  di
procedura penale che disciplina il  sequestro  preventivo  (art.  321
c.p.p.), dalla norma dell'art. 334 c.p. che punisce la sottrazione (o
il danneggiamento) di cose sottoposte a sequestro disposto nel  corso
di un procedimento penale - si determina una irragionevole disparita'
di trattamento tra tutte le altre imprese che esercitino un'attivita'
produttiva  e  verso  le  quali  sia  stato  disposto  il   sequestro
preventivo della merce prodotta, che restano soggette  al  divieto  e
alle sanzioni penali dell'art. 334 c.p. e per le quali  continuano  a
valere esclusivamente le ipotesi  di  revoca  del  sequestro  di  cui
all'art. 321 comma 3 c.p.p., e l'ILVA s.p.a., in favore  della  quale
il legislatore stabilisce, per i 36 mesi  decorrenti  dalla  data  di
entrata  in  vigore  del  decreto-legge  n.   207/2012,   la   legale
commerciabilita' dei prodotti dell'attivita'. 
    Disparita' di trattamento che appare del tutto irragionevole,  se
si considera che l'ILVA s.p.a.  viene  a  godere  di  un  trattamento
penale piu' favorevole nonostante la gravita' dei delitti che le sono
contestati e la rilevanza costituzionale dei beni, quali l'ambiente e
la salute dei cittadini, lesi dagli stessi delitti, e non  apparendo,
peraltro, la facolta' di commercializzare  i  prodotti  in  sequestro
strettamente funzionale alla  «assoluta  necessita'  di  salvaguardia
dell'occupazione e della produzione» di cui si parla all'art. 1 comma
1. 
    Infine,   la   commercializzazione   dei   prodotti    realizzati
antecedentemente alla entrata in vigore del decreto-legge n. 207/2012
- benche' in sequestro, e con tutti i profili di  incostituzionalita'
gia' evidenziati in rapporto alla riserva di funzione giurisdizionale
dalla  Costituzione  attribuita  alla  magistratura   e   al   dovere
dell'ordinamento di reprimere e prevenire i reati - e' previsione che
riguarda  esclusivamente  l'ILVA  s.p.a.  e  non  anche   gli   altri
stabilimenti per i quali possa essere autorizzato, ai sensi dell'art.
1 comma 1, l'esercizio dell'attivita' di impresa, pur in presenza  di
un  provvedimento   di   sequestro:   trattasi,   evidentemente,   di
un'ulteriore, irrazionale disparita'  di  trattamento  anche  tra  le
singole situazioni aziendali «particolari» che  sono  state  ritenute
dal legislatore meritevoli di disciplina  derogatoria  rispetto  alle
comuni attivita' imprenditoriali, dettata con la legge n. 231/2012. 
    E ancora. Appare quanto mai dubbia  la  conformita'  delle  norme
della legge n. 231/2012 (articoli 1 e 3) agli articoli 2, 9, 32 e  41
della Costituzione. 
    Si  premettono,  anzitutto,  alcune  osservazioni  di   carattere
generale sui principi essenziali della nostra Carta costituzionale. 
    Principio cardine della Costituzione italiana (insieme  ad  altri
principi:   solidaristico-sociale,   democratico,   pluralistico    e
lavorista), il principio personalistico pone  al  primo  posto  della
gerarchia  dei  valori  la  persona  umana,  e   ne   bandisce   ogni
strumentalizzazione in funzione dell'egoismo pubblico-collettivo come
pure dell'egoismo privato-individuale. Esso trova il suo primo e piu'
generale riconoscimento gia' negli articoli 2 e 3 della Costituzione,
che proclamano i diritti  inviolabili  dell'uomo  nella  sua  duplice
dimensione, individuale e sociale, e della pari dignita'  sociale  ed
eguaglianza giuridica: senza discriminazioni. Con tutte le  ulteriori
e  coerenti  specificazioni,  per  cui  i  diritti  e  le   liberta',
caratterizzati da una accentuata rilevanza individuale e politica  e,
comunque,  piu'  strettamente  attinenti  all'essenza  della  persona
umana, sono stati concepiti ed espressamente formulati senza menzione
alcuna di vincoli di carattere funzionale e si presentano,  pertanto,
come diritti riconosciuti, innanzitutto, alla persona umana come tale
e in quanto tale e nella loro piu' ampia portata. 
    La  nostra  Costituzione   consacra,   altresi',   il   principio
solidaristico-sociale, mediante l'imposizione allo Stato  di  compiti
positivi,  del  dovere   cioe'   di   attivarsi   perche'   l'istanza
personalistica diventi una concreta realta' per tutti, e  ai  singoli
dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica, sociale,
in  contrapposizione  agli  egoismi  individuali  e   alle   tendenze
egocentriche. Tali compiti statali positivi - specificamente previsti
in materia di lavoro, salute  individuale  e  collettiva,  assistenza
sociale, attivita' economica pubblica e privata, famiglia, protezione
della maternita', infanzia e gioventu',  scuola,  cultura  e  ricerca
scientifica, assistenza processuale e  ambiente  -  confluiscono  nel
piu' generale impegno della  Repubblica  di  rimuovere  gli  ostacoli
economico-sociali, che limitano di fatto la liberta' e  l'uguaglianza
dei cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona  umana  e
l'effettiva partecipazione all'organizzazione politica,  economica  e
sociale del Paese. L'imposizione del dovere generale di solidarieta',
di cui all'art. 2 Cost., costituisce  il  completamento  dei  singoli
specifici doveri di attivita' e di lavoro, di prestazione tributaria,
di mantenimento, istruzione ed educazione dei figli,  di  istruzione,
ecc., espressamente previsti dalla Costituzione.  Ed  in  conformita'
del principio solidaristico-sociale il riconoscimento dei diritti  di
liberta', a cominciare dalla  proprieta'  e  dall'iniziativa  privata
(articoli  41,  42,  43,  44),  caratterizzati  da  una   particolare
rilevanza economico-sociale ed  alla  limitazione  dei  quali  resta,
comunque, condizionata l'effettiva liberta' degli altri soggetti,  e'
stato operato in termini funzionali: in funzione del  superiore  bene
di tutti e nei limiti di tale funzione. (1) . 
    Tra i diritti inviolabili dell'uomo nella sua duplice dimensione,
individuale e sociale, riconosciuti e garantiti  dalla  Costituzione,
figura la salute (art. 32 Cost.), tutelata «come fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettivita'». 
    Il fatto  che  sia  l'unico  bene  ad  essere  qualificato  dalla
Costituzione  come  «fondamentale»  diritto  dell'individuo,  risulta
indicativo del carattere preminente della tutela che la  Costituzione
intende ad esso riconoscere, fra tutti i diritti della persona. 
    La  stessa  Corte   costituzionale   (sent.   n.   365/1993)   ha
riconosciuto  che  «l'ambiente  e  la  salute  dei  cittadini,   beni
garantiti dalla Costituzione (articoli 9 e 32  Cost.)»  costituiscono
«valori primari» in ragione della cui tutela «a  parte  il  carattere
meramente  programmatico  del  precetto  di  cui  all'art.  4   della
Costituzione, la concreta disciplina  del  diritto  al  lavoro  (che)
rientra nella  discrezionalita'  del  legislatore  ...  puo'  dettare
limiti». 
    Occorre poi considerare che la tutela della salute,  intesa  come
sicurezza, vale  a  limitare,  secondo  la  Costituzione,  la  stessa
liberta' di iniziativa  economica  privata,  che  infatti  «non  puo'
svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale o  in  modo  da  recare
danno alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana» (art. 41). 
    Nell'acceso  dibattito  suscitato   dalla   vicenda   giudiziaria
relativa all'ILVA di  Taranto  (ma  non  solo,  ovviamente,  in  tale
contesto) viene sistematicamente evocato anche il diritto al  lavoro,
per lo piu' in una prospettiva che  i  due  diritti  -  diritto  alla
salute e diritto al lavoro - giunge sostanzialmente  a  contrapporre,
auspicandone quindi una positiva coniugazione. Orbene, non sembra che
il diritto al lavoro riconosciuto dalla Costituzione quale diritto di
tutti i cittadini (art. 4) possa essere inteso quale  diritto  ad  un
lavoro purchessia, tale da pregiudicare, ad esempio, la salute di chi
lo svolge o quella di altre persone, o la propria od altrui  liberta'
(se cosi'  fosse,  ad  esempio,  dovrebbe  ritenersi  che  anche  una
prestazione lavorativa imposta con una condotta estorsiva costituisca
espressione del diritto al lavoro meritevole di tutela), ma solo come
diritto ad un lavoro che anzitutto si svolga nel  pieno  rispetto  di
tutti  i  diritti  fondamentali  della  persona  (salute,  sicurezza,
liberta', dignita' umana, ecc.), i quali valgono, dunque, a permearne
l'essenza, cosicche' nessuna contrapposizione dovrebbe profilarsi tra
i due diritti, la tutela del lavoro (da intendersi, si ripete,  quale
lavoro dignitoso e non pregiudizievole per la salute, la sicurezza  e
la liberta' di alcun essere umano, lavoratore compreso) presupponendo
imprescindibilmente quella della salute. 
    Che il  diritto  alla  salute,  costituzionalmente  tutelato,  si
configuri come diritto all'ambiente salubre, ex articoli 2,  32  e  9
comma 2 Cost., e' stato affermato dalla Corte di cassazione gia'  nel
1979, con la sentenza delle Sezioni Unite del 6.10.1979 n. 5172,  ove
si legge, tra l'altro: 
        «... La protezione della salute assiste l'uomo non (solo)  in
quanto  considerato  in   una   sua   astratta   quanto   improbabile
separatezza,  ma  in  quanto  partecipe  delle  varie   comunita'   -
familiare, abitativa, di lavoro, di studio ed altre - nelle quali  si
svolge la sua personalita'. Accentuandosi il  carattere  di  inerenza
alla persona e di socialita' del bene protetto,  si  rende  manifesto
che la protezione non si limita all'incolumita'  dell'uomo,  supposto
immobile nell'isolamento della sua abitazione o  solitario  nei  suoi
occasionali spostamenti e cosi' fatto specifico bersaglio  di  azioni
aggressive, ma e' diretta ad assicurare  all'uomo  la  sua  effettiva
partecipazione mediante presenza e frequentazione fisica, alle  dette
comunita', senza che cio' costituisca pericolo per la sua salute.  La
protezione si estende cioe' alla vita associata dell'uomo nei  luoghi
delle varie aggregazioni  nelle  quali  questa  si  articola,  e,  in
ragione della sua effettivita', alla preservazione, in  quei  luoghi,
delle condizioni indispensabili o anche soltanto  propizie  alla  sua
salute: essa assume in tal modo  un  contenuto  di  socialita'  e  di
sicurezza, per cui il diritto alla salute, piuttosto  (o  oltre)  che
come mero diritto alla vita e all'incolumita'  fisica,  si  configura
conte diritto all'ambiente salubre. Quanto al tipo di protezione,  e'
evidente che si tratta di tecnica giuridica di tipo garantistico, che
e' poi quella propria  dei  «diritti  fondamentali»  o  «inviolabili»
della persona umana. Si tratta cioe', di tutela piena che si concreta
nella attribuzione di poteri di libera fruizione  di  utilita'  e  di
libero svolgimento di attivita', di  esclusione  degli  ostacoli  che
all'una o all'altro si frappongano da parte di chicchessia. Ed e'  in
questa difesa a tutta oltranza  contro  ogni  iniziativa  ostile,  da
chiunque provenga - altri singoli o persino  l'autorita'  pubblica  -
non  gia'  in  una  considerazione  atomistica,  asociale,   separata
dall'uomo  che  risiede  il  significato  del  richiamo  al  «diritto
fondamentale  dell'individuo».  In  lata  parola:  la  strumentazione
giuridica  e'  quella  del  diritto  soggettivo,  anzi  del   diritto
assoluto. 
    ... Del resto la giurisprudenza di queste Sezioni  unite  non  ha
mancato di ammettere la  protezione  di  interessi  di  serie,  o  di
categoria, sia pure con la tecnica dell'interesse legittimo... 
    E  la  circostanza  che  cio'   sia   avvenuto   finora   (almeno
prevalentemente)  per   categorie   individuate   dall'esercizio   di
attivita' economiche, non esclude naturalmente  ne'  che  cio'  possa
avvenire sulla base di altri criteri di collegamento, ne' che, quando
la natura del bene lo esiga - come nel caso, che qui ricorre,  di  un
modo  essenziale  di  essere  della  persona  -  ,   protezione   sia
strutturata in forma di difesa  ad  oltranza  contro  ogni  forma  di
ostilita' o di compressione, In tale ultimo caso  infatti  la  difesa
puo' e deve  avvenire  anche  indipendentemente  da  ogni  intervento
dell'Autorita' amministrativa e persino contro  di  essa.  Si  tratta
ovviamente di stabilire quali beni, secondo la  gerarchia  di  valori
posta dalla nostra Costituzione, meritino siffatta tutela. Ma non  vi
e' dubbio che la meriti il bene di cui si tratta. 
    ... Ora  che  il  bene  della  salute,  inteso  nei  sensi  sopra
indicati, sia assicurato all'uomo in forma garantistica,  ed  (almeno
esso) incondizionatamente - come uno ed anzi  il  primo  dei  diritti
fondamentali - anche nei confronti dell'Autorita'  pubblica,  cui  e'
negato in tal modo il potere di disporre di esso,  e'  cosa  che  non
puo' sorprendere, ove si consideri: a)  che  i  diritti  fondamentali
sono per tradizione del diritto  costituzionale  garantiti  in  primo
luogo contro l'Autorita' pubblica; b) che in ogni ordinamento  taluni
valori sono preminenti; c) ..che di tutto cio' non si e' mai dubitato
per il diritto alla vita. Nessun organo di collettivita'  neppure  di
quella generale e del resto neppure l'intera  collettivita'  generale
con unanimita' di voti potrebbe validamente  disporre  per  qualsiasi
motivo di pubblico interesse della vita o della salute di un  uomo  o
di un gruppo minore. Il sacrificio o la  compressione  di  tali  beni
puo' costituire fatto giustificato dallo stato di necessita' o  dalla
legittima difesa - ma in  tal  caso  anche  se  posto  in  essere  da
qualsiasi privato - non gia' espressione di un potere  preminente  di
disposizione. E' chiaro che l'Amministrazione non  ha  il  potere  di
rendere l'ambiente insalubre neppure in vista di motivi di  interesse
pubblico di particolare  rilevanza  Certo  essa  ha  il  potere,  ove
ricorrano  motivi  di  interesse  pubblico,   di   espropriare,   per
destinarle esclusivamente a luogo di'  attivita'  pericolose  la  cui
incidenza non possa  altrimenti  circoscriversi,  parti  di  un  dato
territorio, cosi' sottraendole all'ambiente  delle  collettivita'  in
esso stanziate; ma, a parte ogni questione circa  i  limiti  entro  i
quali cio' possa avvenire, e' ovvio che  si  tratta  di  un  modo  di
preservare e non di compromettere la  salute  dell'ambiente  nel  suo
insieme. Le cose dette circa  la  tutela  garantistica  della  salute
anche contro la pubblica autorita' trovano conferma, ove si consideri
che dai precetti costituzionali dinanzi richiamati (artt. 32 e  2)  e
da  altri  (articoli  3  e  38)  emerge   una   linea   di   tendenza
dell'ordinamento,  costituente  poi  sviluppo  della   detta   tutela
garantistica, nel senso di configurare addirittura  un  diritto  alla
salute come un «diritto sociale», inteso come diritto del privato  ad
un'attivita' positiva della Pubblica Amministrazione a  favore  della
salute sia in via preventiva che in via recuperatoria ...». 
    Tanto premesso, si osserva che, nonostante l'intitolazione  della
legge n. 231/2012 si apra  con  il  riferimento  alla  «tutela  della
salute  e  dell'ambiente»,  anteposto  alla   «tutela   dei   livelli
occupazionali» e di salvaguardia della produzione in caso  di  «crisi
di  stabilimenti  industriali  di  interesse  strategico  nazionale»;
sebbene, poi, nel preambolo del  decreto-legge  si  dichiari  che  il
ricorso ad esso sia giustificato dalla  straordinaria  necessita'  ed
urgenza di emanare disposizioni per assicurare  la  piena  attuazione
delle  prescrizioni  del  (riesame)   dell'autorizzazione   integrata
ambientale rilasciata  ad  ILVA  s.p.a  il  26.10.2012,  «volte  alla
immediata rimozione delle  condizioni  di  criticita'  esistenti  che
possono incidere sulla  salute»,  e  che  «i  profili  di  protezione
dell'ambiente e della salute» siano considerati «prevalenti», insieme
ai  «profili  di  ordine  pubblico  e  di  salvaguardia  dei  livelli
occupazionali» (ma il decreto-legge e' stato emanato «sulla  proposta
del  Presidente  del  Consiglio  dei   ministeri   e   del   Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare,  di  concerto
con il (solo, n.d.r.) Ministro dello sviluppo  economico»:  il  fatto
che non si riferisca di alcun «concerto con il Ministro della salute»
desta stupore, vista  la  proclamata  prevalenza  che  sarebbe  stata
accordata dal Governo alle esigenze di tutela della salute) (2) , non
sembra davvero che le norme della stessa legge assicurino una  tutela
della salute e dell'ambiente minimamente conforme  al  dettato  degli
articoli 2, 9, 32 e 41 della Costituzione. 
    Anzitutto, lungi dal garantire, come proclamato nel preambolo del
decreto-legge n. 207/2012, «la immediata rimozione  delle  condizioni
di  criticita'  esistenti  che   possono   incidere   sulla   salute,
conseguendo il sostanziale abbattimento delle  emissioni  inquinanti»
alla quale si dice  essere  «volte»  le  prescrizioni  del  (riesame)
dell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata ad  ILVA  s.p.a.,
la legge in argomento (in particolare, articoli 1 comma 1 e 3 comma 2
e 3) assicura senz'altro, e con effetto immediato, allo  stabilimento
ritenuto  di  interesse   strategico   nazionale   e,   segnatamente,
all'impianto siderurgico della societa'  ILVA  s.p.a.,  specifica  (e
allo  stato  esclusiva)   destinataria   della   legge   stessa,   la
«prosecuzione dell'attivita' produttiva», nello stato  attuale  degli
impianti, a pieno  regime  e  senza  subordinare  in  alcun  modo  la
prosecuzione dell'attivita' al previo adempimento di almeno una delle
prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell'AIA. 
    Inequivocabile e', invero, la previsione in  parola,  secondo  la
quale viene ad essere autorizzata tout court  ed  immediatamente  «la
prosecuzione  dell'attivita'  produttiva  per  un  periodo  di  tempo
determinato non superiore a 36 mesi», con  la  sola  condizione  che,
nello stesso periodo, «vengano adempiute  le  prescrizioni  contenute
nel provvedimento di riesame, secondo le procedure ed i  termini  ivi
indicati». 
    Assurdamente, in tale previsione la continuita' di  funzionamento
degli impianti costituisce nello stesso tempo premessa e  conseguenza
del rispetto di quanto prescritto dall'AIA. Nessuna preoccupazione e'
dato cogliere per la attuale incidenza sulla salute  di  un'attivita'
produttiva dal pesantissimo impatto inquinante  di  cui  si  assicura
senz'altro la prosecuzione alle  attuali  condizioni  e  stato  degli
impianti, non pretendendosi il previo  adempimento  di  alcuna  delle
prescrizioni asseritamente volte alla tutela della salute. 
    E ancora, ci si chiede quale efficace  e  concreta  tutela  della
salute viene ad essere assicurata dalla legge,  nel  momento  in  cui
prevede (art. 1 comma 3), in caso  di  mancata  osservanza  di  dette
prescrizioni da parte di ILVA s.p.a., nel corso dei 36 mesi  e  quali
che siano le prescrizioni violate, null'altro che  l'applicazione  di
una semplice sanzione amministrativa  pecuniaria  «fino  al  10%  del
fatturato della societa' risultante dall'ultimo bilancio approvato». 
    E' evidente che non avere presidiato prescrizioni dichiaratamente
volte (come da preambolo al decreto-legge) «alla immediata  rimozione
delle condizioni di criticita' esistenti che possono  incidere  sulla
salute,  conseguendo  il  sostanziale  abbattimento  delle  emissioni
inquinanti»,  con  sanzioni,  quale  lo   spegnimento   dell'impianto
interessato,   concretamente   idonee   ad   assicurare    altrimenti
l'obiettivo asseritamente perseguito a tutela della  salute,  vale  a
smascherare l'unica vera preoccupazione  del  legislatore:  garantire
comunque  all'ILVA   la   prosecuzione   dell'attivita',   cosi'   da
salvaguardare la produzione  di  interesse  strategico  nazionale  ed
assicurare   il   mantenimento   dello   status   quo   dei   livelli
occupazionali, quali che siano le condizioni dell'ambiente di lavoro. 
    Del resto, non sfugge che  il  legislatore  ha  inteso  rimettere
l'ILVA in possesso  degli  impianti  sottoposti  a  sequestro  (cosi'
espropriando il potere giudiziario delle funzioni ad  essa  riservate
dalla  Costituzione),  senza  esigere   dalla   stessa   neppure   la
presentazione di adeguate garanzie finanziarie  a  sostegno  sia  del
piano di investimenti previsti  dall'AIA,  sia  del  pagamento  delle
eventuali sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'art. 1  comma
3, e senza che sia stato  presentato  dalla  societa'  il  prescritto
piano di dismissione dell'impianto e ripristino ambientale. 
    Alla luce di quanto precede, non possono non risultare pienamente
condivisibili le argomentazioni poste dai PP.MM. a  fondamento  delle
questioni di legittimita'  costituzionale  della  legge  n.  231/2012
(articoli 1 e 3), per contrasto con gli articoli 2, 9, 32 e 41  della
Costituzione, che di seguito si riportano (per la parte di  specifico
interesse), onde agevolarne la lettura. 
    «... Come e' noto il legislatore, nell'esercizio del  suo  potere
di    legiferare,    nel    bilanciamento    dei    vari    interessi
costituzionalmente protetti, puo'  scegliere  in  modo  discrezionale
quale interesse debba prevalere sull'altro in ipotesi  di  situazioni
in cui necessariamente un interesse deve essere compresso a favore di
un altro. 
    La scelta tuttavia non deve essere arbitraria ed irrazionale. 
    In linea di  principio  quindi  una  disciplina  che  prevede  la
prevalenza   di   interessi   legati   all'iniziativa   economica   e
all'occupazione rispetto a  quelli  legati  alla  salute  puo'  anche
superare il giudizio di costituzionalita', ma se  tale  bilanciamento
si risolve in una sostanziale e totale prevaricazione di un interesse
costituzionalmente protetto in danno di un altro esso e'  affetto  da
irragionevolezza   ed   arbitrarieta'   ed   assume   carattere    di
incostituzionalita'. 
    Nel caso che ci occupa non  appare  difficile  individuare  nella
normativa qui denunciata tali caratteristiche che ne  determinano  il
contrasto con la Carta costituzionale. 
    Invero, la tutela della salute appare chiaramente messa da  parte
in favore delle ragioni legate alla produzione ed all'occupazione. 
    Come e' agevole desumere dal testo dei provvedimento  l'attivita'
produttiva inquinante viene espressamente autorizzata nonostante essa
sia dannosa per la salute e l'ambiente per un tempo non  superiore  a
36  mesi  a  condizione  che  siano  adempiute  le   condizioni   del
provvedimento di riesame AIA nei termini ivi indicati: unica sanzione
prevista nei caso di violazioni alle prescrizioni stabilite quella di
natura economica. La sanzione amministrativa del  10%  del  fatturato
[rectius, fino al 10%] desumibile dall'ultimo bilancio. 
    A nulla vale ovviamente il richiamo alla clausola di salvaguardia
(art. 1, comma 3 decreto n. 207/12  cosi'  come  convertito)  ove  si
legge «Fermo restando quanto  previsto  dagli  articoli  29-decies  e
29-quattuordecies del decreto legislativo n. 152  del  2006  e  dalle
altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative
contenute nelle normative di settore ...», atteso che tale  normativa
di settore che prevede sanzioni  che  possono  giungere  alla  revoca
dell'AIA con blocco dell'attivita' dell'impresa (art. 29-decies testo
unico 152/2006) non possono  comunque  essere  irrogate  prima  della
scadenza dei 36 mesi. Unica sanzione applicabile prima dei 36 mesi in
caso di inosservanza dei termini AIA e' quella, come detto,  del  10%
[rectius, fino al 10%] del fatturato. Sanzione che ovviamente risulta
totalmente inadeguata a tutelare salute e ambiente. 
    Per  un  periodo  di  36  mesi  in  sostanza  l'impresa   ha   la
possibilita' di inquinare  anche  se,  per  avventura,  e'  possibile
stabilire molto prima di tale termine che la stessa non si  adeguera'
alle prescrizioni stabilite dall'AIA. 
    Nessun blocco dell'attivita' produttiva e quindi delle  emissioni
nocive e' prevista. 
    Addirittura potremmo dire che la disciplina originaria  stabilita
dall'AIA e' stata ulteriormente modificata in favore della produzione
in danno della salute. Invero, mentre originariamente  era  possibile
giungere a livello sanzionatorio anche al blocco degli  impianti,  il
solo idoneo a tutelare la salute e l'ambiente  attraverso  il  blocco
delle emissioni nocive, con il suddetto decreto  viene  eliminata  la
possibilita' (nei 36 mesi concessi  dalla  legge)  di  giungere  alla
eliminazione delle emissioni nocive a livello sanzionatorio  e  viene
introdotta esclusivamente la sanzione di natura patrimoniale: come  a
dire, la produzione inquinante  deve  comunque  continuare  in  danno
della salute e dell'ambiente, l'importante e' pagare la  possibilita'
di inquinare. 
    E' di  tutta  evidenza  come  tale  disciplina  non  realizza  un
bilanciamento dei diversi interessi in gioco: salute ed  ambiente  da
un  lato  e  produzione  e  occupazione   dall'altro,   ma   annienti
completamente il diritto alla salute  e  ad  un  ambiente  salubre  a
favore di quello economico e produttivo. 
    Scelta   assolutamente    irragionevole    sotto    il    profilo
costituzionale; non esiste una disposizione del  decreto  in  oggetto
che sia idonea a tutelare salute ed ambiente nel momento  in  cui  si
pone problema di tale tutela, ovvero nel momento in cui l'impresa non
osservando le disposizioni del decreto ometta  di  intervenire  sugli
impianti cosi'  come  statuito  nell'AIA  per  tempi  e  modalita'  e
continui imperterrita nell'attivita' produttiva inquinante. 
    Unica sanzione, come piu'  volte  detto,  il  10%  del  fatturato
[rectius, fino al 10%], sanzione  che  ovviamente  non  e'  idonea  a
bloccare  l'attivita'  inquinante  dello  stabilimento.   Solo   alla
scadenza del termine indicato nel decreto sara' possibile intervenire
con gli strumenti efficaci legati ad interventi che  possono  portare
anche al blocco degli impianti. 
    Portando  alle  estreme  conseguenze   la   disciplina   prevista
l'impresa che inquina potrebbe, in via preventiva, pagare la sanzione
del 10% del fatturato  dell'ultimo  bilancio  per  essere  libera  di
continuare nell'attivita' criminale inquinante per  i  successivi  36
mesi. 
    I 36 mesi concessi all'impresa in realta' costituiscono una  vera
e  propria  «cappa»  di  totale  «immunita'»  dalle  norme  penali  e
processuali che non ha eguali nella  storia  del  nostro  ordinamento
giuridico e che  pone  un  pericoloso  precedente  idoneo  a  creare,
peraltro, delle fratture enormi nel principio della  separazione  dei
poteri su cui si fonda il nostro sistema costituzionale ...». 
    V'e' peraltro da domandarsi se la tutela apprestata dalla  nostra
Costituzione alla salute (art. 32 Cost.) «come  fondamentale  diritto
dell'individuo e  interesse  della  collettivita'»  (si  veda  quanto
preliminarmente osservato a tal proposito)  ne  consenta  davvero  la
compressione, sia pure in chiave di bilanciamento con  altri  beni  e
diritti di rilevanza costituzionale. 
    E'  costituzionalmente  ammissibile   la   possibilita'   di   un
bilanciamento tra,  da  una  parte,  la  esigenza  di  assicurare  la
prosecuzione  di  una  determinata   attivita'   produttiva   ed   il
mantenimento di un certo livello occupazionale ad essa  collegato  e,
dall'altra, il diritto alla salute? 
    Se si, come si individuano i criteri ed i limiti quantitativi che
presiedono al bilanciamento? Soprattutto: il diritto alla  salute  di
quante persone si puo' accettare che ne resti compresso? 
    Meritano di essere incidentalmente ricordate,  a  tal  proposito,
alcune considerazioni svolte nella Relazione (acquisita agli atti del
procedimento penale)  della  Commissione  Parlamentare  di  inchiesta
sulle attivita' illecite connesse al  ciclo  dei  rifiuti,  approvata
dalla Commissione nella seduta del 17  ottobre  2012,  relazione  che
«approfondisce le recenti vicende dell'impianto siderurgico dell'Ilva
di  Taranto».  Le  stesse  considerazioni  sono   riportate   (anche)
nell'ordinanza emessa da questo g.i.p.  il  30.11.2012  (allegata  in
copia). 
    In particolare,  nel  capitolo  dedicato  a  «Gli  effetti  delle
sostanze  inquinanti  sui  bambini.  L'attivita'  di  Governo»  (pag.
379/386), si legge, tra l'altro. 
    ... Non puo' non evidenziarsi, attraverso  una  semplice  analisi
temporale degli accadimenti, quale sia stata la condotta del Governo,
e in particolare del  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio e del mare, rispetto alla gravissima emergenza  ambientale
e  sanitaria  che  e'  stata  accertata  nella  citta'   di   Taranto
nell'ambito del procedimento penale condotto  dalla  locale  procura,
concernente l'impianto siderurgico Ilva. 
    In una prima, ma importantissima fase dell'indagine,  la  procura
ha proceduto, attraverso l'incidente probatorio innanzi  al  Gip,  ad
approfondire  quelle  che   sono   le   tematiche   piu'   importanti
relativamente allo stabilimento Ilva: 
        l'accertamento  degli  inquinanti  provenienti  dall'impianto
siderurgico; 
        l'accertamento   degli   effetti   dell'inquinamento    sulla
popolazione ... 
    La perizia epidemiologica, che pure e' stata discussa in sede  di
incidente probatorio, ha rappresentato una situazione  di  gravissima
emergenza sanitaria, atteso che gli  inquinanti  cui  la  popolazione
dell'intera citta' di Taranto e' esposta producono effetti a lungo  e
a breve termine, con un forte impatto anche sui bambini. 
    In sostanza, oggi, e non fra venti anni, i bambini sono  soggetti
ad una maggiore incidenza di malattie. 
    E'  sufficiente,  sul  punto,  richiamare  quello  che  e'  stato
riferito dai periti, i quali hanno piu'  volte  ribadito,  nel  corso
dell'esame orale, come «lo  stato  di  salute  della  popolazione  di
Taranto  sia   di   indubbia   compromissione»,   e   che   a   causa
dell'inquinamento ambientale in  atto  «la  situazione  sanitaria  di
Taranto  sia  grave»,  tenuto  anche  conto  del  confronto  con   la
popolazione dell'intera regione Puglia: una «situazione di  pressione
ambientale, di stato di salute complessivo non solo di alcune aree di
Taranto, ma di Taranto nel suo complesso rispetto alla  regione,  che
e' difficilmente riscontrabile in altre aree del Paese ... ». 
    Ed  ancora:  «Questa  relazione   importante   tra   inquinamento
ambientale e incidenza di eventi coronarici di infarto e'  una  delle
cose forse piu' importanti in questo momento, perche' ha  un  effetto
non molto ritardato e su cui un intervento di prevenzione  ambientale
potrebbe  ridurre  l'incidenza  di   questi   fenomeni   in   maniera
importante. E' ovvio che quando si pensa al danno ambientale si pensa
ai tumori, e' indubbio che il tumore e' una malattia  importante,  ma
la frequenza di patologie coronariche e' altrettanto importante e  su
questa si puo' fare un intervento immediato. Il secondo  aspetto  che
ci ha ..., che mi ha colpito e' l'impatto sui bambini, e'  ovvio  che
l'impatto sui bambini ha un'importanza notevole, perche' si tratta di
una popolazione particolarmente suscettibile e della  protezione  dei
bambini in qualche  modo  noi  siamo  tutti  corresponsabili,  quindi
questi due elementi a me hanno colpito e devo  dirvi  che  anche  con
precedenti di numerose indagini che abbiamo condotto in  altre  parti
del paese, questa coerenza degli effetti che abbiamo visto a  Taranto
non sono stati ... non e' facile trovarli...». 
    Le sostanze inquinanti causano, secondo i periti «effetti avversi
sulla salute infantile e  sulla  gravidanza».  Insomma,  «allo  stato
attuale delle conoscenze appare evidente che  gli  effetti  (  ...  )
sulla salute sono molto complessi ed  importanti,  non  solo  per  le
patologia tumorali ma anche per il coinvolgimento della fisiologia di
molti organi ed apparati, provocando gravi danni allo stato di salute
degli esposti». Tra le malattie con le quali c'e' un'associazione  ci
sono  la  leucemia  linfoblastica  acuta,  la  leucemia   linfocitica
cronica, i linfomi non Hodgkin e il mieloma multiplo. 
    Commentando i  risultati  dello  Studio  Sentieri  1995-2002,  il
dottor Forastiere (uno dei periti medici) ha dichiarato,  all'udienza
del 30 marzo 2012 (v. pag. 29/30 del verbale  da  fonoregistrazione):
«Quindi questo e' un quadro di  Taranto  rispetto  all'insieme  della
Puglia, anche  tenendo  conto  degli  indicatori  di  deprivazione  a
livello comunale, che testimonia  una  piu'  alta  mortalita'  per  i
cittadini di Taranto e Statte sia negli uomini che nelle donne. 
    Ora non mi dilungo per i singoli dati delle donne. Il  dato  che,
in qualche modo, ha fatto  ritenere  preoccupante  la  situazione  di
Taranto e' la mortalita' infantile che vede, in  questo  periodo,  un
eccesso di mortalita' del 18% specialmente per le condizioni  morbose
di  carattere  perinatale,  che  sono  sostanzialmente  le   malattie
respiratorie acute al di sotto dell'anno  di  eta',  ma  anche  nello
specifico la mortalita' per  tutti  i  tumori  nei  bambini.  Ora  la
mortalita' per tumore, per fortuna, sta  diventando  un  evento  raro
grazie alle terapie che sono in corso. Taranto aveva  questo  eccesso
del 50% della mortalita' per tumori infantili». 
    E  dunque,  e'  come  se  si  fosse  fatto  un  salto   indietro,
all'incirca,  di  piu'  di  cento  anni  quando,  in   corrispondenza
dell'inizio dell'era industriale, non esistevano le  norme  a  tutela
dell'ambiente e dei lavoratori e la produzione era l'unico  obiettivo
da perseguire ... 
    Al termine di questo rapido esame, occorre ritornare a quello che
e' il punto nevralgico dell'intera vicenda: la tutela della salute. 
    Gli  ultimi  risultati  delle  indagini   epidemiologiche   hanno
evidenziato  come  la  compromissione  della  salute  delle   persone
ricadenti nel raggio di azione delle emissioni nocive, si proietti in
modo massiccio e diffuso anche  verso,  per  cosi'  dire,  la  salute
futura. 
    Allarmanti sono le risultanze delle ricerche che sottolineano  il
grave pericolo per la salute di chi, oggi, e' un minore, e di chi  in
futuro lo sara': piu' chiaramente dei bambini di oggi e di quelli  di
domani, compresi quelli che non sono ancora nati, ma che, in  qualche
nodo, subiranno nel grembo materno quello che e' lo stato  di  salute
della madre. 
    Questo e' il costo che sembra si sia disposti  a  sopportare  per
garantire, qualunque cosa accada, la  produzione  e  il  mantenimento
dell'area industriale con i collegati profili occupazionali. 
    Ma in questo modo, lo Stato e  le  parti  sociali  finiscono  per
creare, per cosi' dire, un enorme «debito pubblico sanitario». 
    E, dunque, cosi'  come  il  debito  pubblico  finanziario  dovra'
essere  pagato  dalle  generazioni  future,  cosi'  anche  il  debito
pubblico sanitario verra' inevitabilmente a costituire  voce  passiva
di numerose generazioni a venire. 
    Insomma, cambiano gli ambiti di azione,  mutano  i  soggetti,  ma
sembra proprio che l'azione pubblica e privata in questo  Stato,  sia
orientata a traslare verso il  futuro  i  problemi,  addossandoli  ad
altri. 
    Tutto cio' sembra avvenire senza attenzione per il futuro, pur di
salvaguardare lo svolgimento di attivita' economiche ed  industriali,
in una sorta di primazia assoluta dell'economia  su  tutto,  anche  a
costo che da quella produzione  nociva  derivino  destini  segnati  e
speranze frustrate. 
    Non esiste un costo, in termini di salute,  sopportabile  da  uno
stato civile per le esigenze produttive e non e' accettabile  che  il
presente  e  il  futuro  dei   bambini   di   Taranto   sia   segnato
irrimediabilmente.     Nessun     ragionamento      di      carattere
economico/produttivo dovra'  e  potra'  mai  mettere  minimamente  in
dubbio questo concetto ... 
    Infine, nel capitolo finale  -  «Conclusioni»  -  si  legge,  tra
l'altro (pag. 391/397). 
    La Commissione ritiene doveroso  esprimere  delle  considerazioni
specifiche all'esito degli  approfondimenti  condotti  sulla  vicenda
attinente all'Ilva di Taranto. 
    Si tratta, infatti, di una vicenda particolarmente complessa  che
ha visto l'intervento, a  diverso  titolo,  della  magistratura,  del
Governo, del Parlamento, degli  enti  locali  (regione,  provincia  e
comune),  nonche'  dei  sindacati  dei  lavoratori,  intervenuti  per
sostenere le ragioni di coloro che, a seguito  del  provvedimento  di
sequestro  emesso  dalla  magistratura,   subiranno   inevitabilmente
effetti negativi sulla loro posizione lavorativa. 
    Il primo, imprescindibile dato, e' costituito  dalle  conclusioni
della  perizia  chimica  ed   epidemiologica   depositata   all'esito
dell'incidente probatorio disposto nel procedimento  penale  condotto
dalla procura di Taranto. 
    La perizia descrive  una  grave  ed  attualissima  situazione  di
emergenza  ambientale  e   sanitaria,   imputabile   alle   emissioni
inquinanti, convogliate, difese e fuggitive, dello stabilimento  Ilva
Spa e, segnatamente, di  quegli  impianti  ed  aree  del  siderurgico
costituiti dall'area parchi, area  cokerie,  area  agglomerato,  area
altiforni, area acciaierie ed area grf (gestione rottami ferrosi). 
    Risulta processualmente come gli inquinanti siano  entrati  anche
nella catena  alimentare,  tanto  da  determinare  l'abbattimento  di
migliaia di animali, nei quali si erano riscontrate imponenti  tracce
di diossina ... 
    In sostanza, gli interessi coinvolti nella vicenda in esame  sono
molteplici,  tutti  di  rilevanza  costituzionale,   ma   non   tutti
bilanciabili fra di loro, si' da determinare la  frustrazione  di  un
interesse rispetto ad un altro. 
    In particolare, fondamentale oggetto di tutela e' la salvaguardia
del diritto alla salute, contemplato dall'art. 32 della  Costituzione
che recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettivita'». 
    Si tratta di un  diritto  insopprimibile,  che  non  puo'  essere
bilanciato o sacrificato con nessun altro  diritto  o  liberta',  sia
pure di rango costituzionale. 
    La salvaguardia della salute umana e' definita come  fondamentale
diritto dell'individuo. 
    Come e' stato da piu'  parti  sottolineato,  anche  altri  valori
costituzionali sono chiamati in causa, primo fra tutti la tutela  del
lavoro. 
    Non solo l'art. 1 della Carta costituzionale afferma il principio
per cui l'Italia e' una Repubblica fondata sul lavoro, ma ben  cinque
articoli della Costituzione sono  dedicati  alla  tutela  del  lavoro
(compresa l'organizzazione sindacale e il diritto di sciopero). 
    Senza considerare poi che la tutela  del  lavoro  rappresenta  la
condizione indispensabile per la tutela della dignita' umana. Nessuna
dignita' puo' esistere laddove manchino i mezzi di sussistenza  e  la
garanzia delle condizioni minimali di  vita  che  possano  consentire
all'uomo di esprimersi come singolo e nelle formazioni  sociali  dove
si svolge la sua personalita', prima fra tutti la famiglia. 
    E nessuna dignita' vi puo' essere nel caso in cui il  lavoro  non
venga effettuato  in  condizioni  di  sicurezza  per  la  salute  del
lavoratore medesimo. 
    Ed allora, e' proprio dalla lettura dea norme  che  si  comprende
come la tutela della salute abbia un posto preminente e debba  essere
salvaguardata anche,  e  soprattutto,  nell'ambiente  lavorativo  che
rappresenta certamente un  luogo  in  cui  le  forze  in  campo  sono
sbilanciate: da un fato, vi e' il datore di lavoro che  si  trova  in
una posizione, per cosi' dire, di «forza» dall'altro,  il  lavoratore
che  sarebbe  tendenzialmente  disposto   ad   accettare   condizioni
lavorative insalubri e pericolose per la salute, pur di lavorare. 
    Altro  interesse  coinvolto  e'  quello  relativo  all'iniziativa
economica privata  (contemplato  dall'art.  41  della  Costituzione),
iniziativa che e' definita «libera», ma che  non  puo'  svolgersi  in
contrasto con l'utilita' sociale o  in  modo  da  recare  danno  alla
sicurezza, alla liberta' ed alla dignita' umana. 
    Ancora una volta si fra fa conferma, se mai  ce  ne  fosse  stato
bisogno, che fa tutela del diritto alla salute e' insopprimibile, non
limitabile, non comprimibile,  rappresentando  non  solo  un  diritto
fondamentale  per  il  singolo,  ma   un   interesse   per   l'intera
collittivita', di' tal che' non e' disponibile... 
    Il problema  delle  ricadute  occupazionali  che  discendono  dal
provvedimento di sequestro e dall'esigenza di evitare  l'aggravamento
o la protrazione delle  conseguenze  di  reati  contro  la  salute  e
l'integrita'  dell'incolumita'  pubblica  e'  un  problema   la   cui
soluzione appartiene esclusivamente alla pubblica amministrazione  ed
al soggetto imprenditoriale,  secondo  le  rispettive  competenze  di
valutazione (per la pubblica amministrazione) e di  adeguamento  (per
l'imprenditore) ad un modello aziendale che garantisca una produzione
nel rispetto del diritto alla salute ... 
    Inoltre, per  le  ragioni  sin  qui  esposte  in  relazione  alla
incompatibilita' della legge impugnata con gli articoli 2, 9, 32 e 41
della Costituzione, si osserva che la stessa si  pone  in  contrasto,
altresi',  con  l'art.  117   comma   1   della   Costituzione,   con
l'interposizione della normativa comunitaria di cui agli articoli 3 e
35  della  Carta  dei  diritti   fondamentali   dell'Unione   Europea
(Convenzione 7.12.2000, G.U.E. 18.12.2000 n. 364) e 191 del  Trattato
sul funzionamento dell'Unione Europea come modificato dal Trattato di
Lisbona. 
    Gli artt. 3 e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea prevedono,  rispettivamente,  che  (art.  3  comma  1)  «Ogni
persona ha diritto alla propria integrita' fisica e psichica», e  che
(art. 35) «...  Nella  definizione  e  nell'attuazione  di  tutte  le
politiche ed attivita' dell'Unione e' garantito un livello elevato di
protezione della salute umana». 
    L'art. 191 (ex art.  174  TCE)  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione Europea come modificato dal Trattato di Lisbona, recita: 
    1. La politica dell'Unione in materia ambientale  contribuisce  a
perseguire i seguenti obiettivi: 
        salvaguardia,   tutela   e   miglioramento   della   qualita'
dell'ambiente; 
        protezione della salute umana; 
        utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; 
        promozione sul piano internazionale  di  misure  destinate  a
risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale  e,
in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. 
    2. La politica  dell'Unione  in  materia  ambientale  mira  a  un
elevato livello di  tutela,  tenendo  conto  della  diversita'  delle
situazioni nelle varie  regioni  dell'Unione.  Essa  e'  fondata  sui
principi della precauzione e dell'azione  preventiva,  sul  principio
della correzione, in via prioritaria alla fonte,  dei  danni  causati
all'ambiente, nonche' sul principio «chi inquina paga». 
    In particolare, la legge impugnata non risulta compatibile con il
c.d. principio di precauzione,  che  impone  di  adottare,  anche  in
situazioni di  incertezza  scientifica,  tutte  le  misure  idonee  a
prevenire il pericolo potenziale di danni alla salute e all'ambiente;
cio', al fine di  scongiurare  danni  che,  una  volta  causati,  non
sarebbero suscettibili di  adeguata  ed  agevole  eliminazione,  Come
condivisibilmente osservato dai PP.MM., «appare chiaro che  nel  caso
che ci occupa consentire l'attivita' produttiva dell'ILVA di  Taranto
nelle condizioni che hanno reso  necessario  il  sequestro  dei  suoi
impianti significa porsi in netto contrasto con i  suddetti  Trattati
che addirittura anticipano  le  misure  di  tutela  ad  una  fase  di
semplice  rischio  di  causazione  di  pericoli  per  la   salute   e
l'ambiente. A Taranto la fase di rischio  e'  stata  gia'  ampiamente
superata da anni a causa dell'attivita'  del  siderurgico.  Qualsiasi
disposizione   normativa   che   autorizzi   l'attivita'   produttiva
nonostante la stessa sia  caratterizzata  da  emissioni  nocive  alla
salute e all'ambiente non puo' che violare la  normativa  comunitaria
sopra indicata». 
    Infine, alla luce di tutto quanto  argomentato  a  proposito  del
contrasto tra la  legge  n.  231/2012  con  la  riserva  di  funzione
giurisdizionale attribuita alla magistratura (art. 102  Cost.)  quale
ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere (articoli 101/110
della Costituzione, in particolare articoli  101/104  e  107  Cost.),
chiamato ad attuare «la giurisdizione ... mediante il giusto processo
regolato  dalla  legge»  (art.  111   Cost.),   e   con   il   dovere
dell'ordinamento di reprimere e prevenire i reati attraverso l'azione
autonoma ed indipendente della magistratura, desumibile dal combinato
disposto degli articoli 25, 27 e 112 della Costituzione, si esprimono
dubbi di costituzionalita'  della  legge  in  questione  in  rapporto
all'art.  117  comma  1  della  Costituzione,  con   l'interposizione
dell'art. 6 della CEDU (Convenzione per la salvaguardia  dei  Diritti
dell'Uomo e delle Liberta' fondamentali) come recepito  dall'art.  52
comma 3 della Carta dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  Europea,
norma che attribuisce ad ogni persona il diritto «a che la sua  causa
sia  esaminata  equamente,  pubblicamente   ed   entro   un   termine
ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale ...». 
    Pertanto,  considerata  la   rilevanza   e   la   non   manifesta
infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate
dai PP.MM. in entrambe le istanze in premessa indicate, ex articoli 1
legge n. cost. 9.02.1948 n. 1 e 23 legge n.  11.03.1953  n.  87,  con
riferimento agli  articoli  1  e  3  della  legge  n.  231/2012,  per
contrasto con gli articoli 3, 9, 24, 25, 27, 32, 101, 102, 103, 104 e
117 della Costituzione. 
    Considerati   anche   gli   ulteriori   motivi   e   profili   di
incostituzionalita' che in questa sede si  rilevano  di  ufficio,  ex
art. 23 comma 3 legge  11.03.1953  n.  87,  apparendo  violati  dalle
richiamate disposizioni degli articoli 1 e 3 della legge 24  dicembre
2012 n. 231 le  norme  ed  i  principi  costituzionali  di  cui  agli
articoli 2, 3, 9 comma 2°, 24 comma 1°, 25 comma 1°, 27 comma 1°, 32,
41 comma 2°, 101, 102, 103, 104, 107,  111,  112,  113  e  117  della
Costituzione. 
    Imponendosi pertanto, ai sensi dell'art. 23 comma 3  della  legge
11.03.1953, n. 87, la sospensione del giudizio in corso, in relazione
ad entrambe le istanze in premessa indicate, proposte dai  PP.MM.  in
data 4.01.2013. 

(1) Tali osservazioni sono tratte, in particolare, da  F.  Mantovani,
    Diritto Penale, Cedam 

(2) Non va sottaciuto,  peraltro,  che  la  lettura  del  decreto  di
    riesame dell'AIA per l'ILVA dello  scorso  ottobre  non  consente
    certamente di affermare che esso sia fondato su specifici studi o
    accertamenti di tipo tecnico-scientifico in grado di confutare le
    evidenze probatorie, acquisite nel presente procedimento  penale,
    che convergono chiaramente nel denunciare l'esistenza, nella zona
    del  tarantino,  di  una  grave  ed  attualissima  situazione  di
    emergenza  ambientale  e  sanitaria,  imputabile  alle  emissioni
    inquinanti, convogliate, diffuse e fuggitive, dello  stabilimento
    ILVA s.p.a. e, segnatamente,  di  quegli  impianti  ed  aree  del
    siderurgico che presentano le accertate e persistenti  criticita'
    ambientali di  cui  si  e'  diffusamente  detto  nel  decreto  di
    sequestro e nell'ordinanza del Tribunale del riesame,  oggetto  -
    si ribadisce - di giudicato cautelare.